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di   W i n k e l m a n n. 229

ristretto, perchè significhi esser pieno, non riempito, e mostri di godere senza pigliare. Con quell’idea sublime ha rappresentato Apollonio d’Atene quel suo Ercole deificato dopo essersi spogliato delle fecce dell’umanità nel monte Oeta1. So d’avervi altra volta2 parlato di questo mirabile avanzo dell’antichità, che fu la delizia, e la maraviglia del gran Buonarruoti. Gli artisti vanno tastando questo torso lasciando girare la mano sopra i serpeggiamenti mirabili de’ muscoli con un: Oh que cela est beau! Non ho mai sentito dire il perchè. I Romani non sono avvezzi a pensare: ne posso dire prove irrefragabili3. Una carità del Bernini è il loro fatto. Il Bernini avea un ingegno vasto, e originale, era uno de’ primi uomini del suo secolo, avea dato un saggio maraviglioso della sua arte per l’età sua nell’ Apollo e Dafne della villa Borghese, toltone il far manierato; ma poi smarrì la strada, divenne grand’architetto, e rimase cattivo scultore. Ma torniamo a noi. A tal idea astratta non si è saputo sollevare lo scultore delle statue mentovate d’Ercolano. Ci ha rappresentato un Giove, ma troppo uomo, in aria di rivale d’Anfitrione, non in quella, che fa tremare la terra colle sue ciglia4. E per vero dire, i Giovi a Portici hanno da stimarsi in grado d’essersi fatti uno de’ nostri: parrebbono troppo degradati, se vi si mettessero attorno gli scultori di costi. Vi è un Bacco colla testa moderna, fatta da uno scultore spagnuolo, che è uno


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  1. Vedi Tom. I. pag. 302., e Tom. iI. pag. 284.., ove dicemmo, che questa statua ha della somiglianza colla figura di Ercole rappresentato in due gemme del museo reale di Francia, in una delle quali Ercole sedente sia col braccio appoggiato sulla coscia. Che stesse così anche l’Ercole del Torso si conosce manifestamente. Avea però la testa piegata dietro guardando in alto, forse come l’Ercole di Lisippo in bronzo descritto da Marziale Epigr. lib. 9. epigr. 30. edit. Raderi:

    Hic qui dura sedens porrecto saxa leone
    Mitigat exiguo magnus in ære deus.
    Quæque tulit spectat resupino sidera vultu,
    Cujus dextra calci robore, lava mero.
    Non est fama recens, nec nostri gloria cæli:
    Nobile Lysippi munus, opusque vides.

  2. Qui avanti pag. 196.
  3. Si veda ciò, che abbiamo detto nella nostra prefazione al Tomo I. pag. xxxj.
  4. Vedi Tom. I. pag. 332.