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di W i n k e l m a n n. | 211 |
col distribuirsi per tutto secondo il bisogno. Da quello, che ho veduto nella villa Tuscolana, parte in disegno, parte nel
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parti della casa. Per poter dire, che non vi abbia altro scrittore antico, che ne parli, il Padre Benedetti, e gli altri, doveano prima averli letti tutti, e senza voglia di cavillare. Uno solo basterà per tutti; ed è il giureconsulto Ulpiano nella l. Sicut autem 8. §. Aristo 5. seg. ff. Si servitus vindicetur, ec. Ivi riferisce la disputa, se fosse talvolta lecito ai padroni delle officine, o botteghe, e lo stesso s’intende degli abitanti nei primi appartamenti, di far uscire il fumo o per la finestra, o per altro buco rasente il muro, onde poi salisse ad incomodare gl’inquilini, o padroni degli appartamenti superiori; e che Aristone decise, che ciò non si poteva fare. Or come poteva darsi luogo a quella disputa, se tutti per consuetudine, o per necessità avesser dovuto far uscire il fumo a quel modo? Dovea dunque esservi un’altra maniera di mandar via il fumo. E questa poteva mai essere la stanza, che si finge il P. Benedetti ? Tutti non potevano averla: e l’avessero anche avuta, quando era piena di fumo, dove si mandava l’altro? Ulpiano conchiude, che poteva pattuirsi la servitù colli vicini di far passare il fumo per il muro della casa, o appartamento loro, come si praticava anche per li vaporarj dei bagni, ossiano i condotti del fuoco nelle stufe, come dicemmo innanzi. Supposta pertanto quella legge, potremo senza difficoltà intendere nello stesso modo di questo condotto del fumo non solo Aristofane in Vesp. vers. 173. come ivi lo spiega ottimamente il suo Scoliate, e per Roma Appiano De bello civ. lib. 4. pag. 596., ove parla di quei congiurati al tempo di Cesare, e Lepido, che si nascosero nelle cappe, e canne dei cammini, e nelle soffitte sotto al tetto: pars mergebantur in puteos, pars in cloacas impurissimas: quidam in fumaria, vel summas sub tegulas refusi sedebant cum silentio maximo; ma ancora quegli scrittori antichi, che parlano di fuoco di legna fatto nelle stanze, citati, e mal intesi dal P. Benedetti; ed altri, che parlano di fumo, e fumaiolo, come Polluce, il quale lib. 7. cap. 27. segm. 123. tra le parti della casa nomina il fumario, o condotto del fumo: κάπνην καί καπνοδόκην fumum, & fumale; seguito da Suida alla parola Κάπνη ἡ καπνοδόκη, e Sidonio Apollinare lib. 9. epist. 13.: Arabumque messe pinguis petat alta tecta fumus. Che non si trovino indizi di cammini nelle fabbriche può ripetersi dalla qualità, e forma delle rovine: e che non veggansi i fumaioli nelle case rappresentate sui bassirilievi, e nelle pitture, o musaici, può esservi qualche ragione particolare, o che quelle non avessero cammini, e fumajoli, o che questi non vi fossero rappresentati perchè deformassero il bell’aspetto, o perchè non si considerassero come cosa necessaria a farvisi. Possiamo però ben arguire che vi fossero da Virgilio Egl. 1. v. 84. seg.:
Et jam summa, procul villarum culmina fumant,
Majoresque cadunt altis de montibus umbræ;
il qual luogo non può certamente intendersi del fumo, che in qualunque maniera s’alzi in alto uscendo anche dalle finestre, com’altri ha preteso; poiché il poeta non avrebbe aggiunto l’epiteto di sommi ai colmi, o tetti; e abbiamo da lui un altro esempio Æneid. l. 12. vers. 567., ove non può spiegarsi del fumo, che si levi in alto in quella maniera, e da qualunque parte; ma della sommità della casa, ove per mezzo dei fumajoli usciva il fumo; dicendo, che si sarebbero uguagliati al suolo i tetti fumanti delle case, per dire, si farebbe spianata la città:
Urbem hodie causam belli, regna ipsa Latini,
Ni frenum accipere, & vidi parere fatentur,
Eruam, & aequa solo fumantia culmina ponam.
Così Tertulliano De pœnit. cap. ult. chiama fumajoli (fumariola) dell’inferno i monti ignivomi, appunto per la figura, che fanno sulla terra colla loro altezza, come i fumaioli sui tetti delle case, detti perciò coniferi apices da Claudiano De raptu Proserp. lib. 3. vers. 398., cioè sommità fatte a modo di cono. Doveano avere il loro fumaiolo anche quei cammini, o focolari, che si facevano a modo di campane in mezzo alle stanze nelle case di un solo piano, o negli appartamenti superiori, che restavano vicini al tetto. Di quelli ne ha trovati tre diversi nelle rovine delle antiche fabbriche Francesco di Giorgio, com’egli scrive in una sua opera, che si conserva manoscritta nella pubblica biblioteca di Siena, al numero 16, citata peraltro a questo proposito dei cammini dallo Scamozzi Dell’Archit. par. 1. lib. 3. cap. 21., e da altri. Noi ne diamo qui le parole estratte dal suo originale pag. LX. dal ch. signor abate Ennio Quirino Visconti, che gentilmente ce le ha comunicate. „ Gli antichi usavano fare i cammini secondo che ho visto in più luoghi: perocchè appresso Perugia sopra al Pianello in un edifizio antico ho visto un cammino, il