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prese da quelli, che ne hanno trattano, riscaldavano la stanza senza che il caldo desse alla testa; e si temperava il caldo
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usassero cammini, è stato ormai scritto tanto dagli eruditi, e anche dagli architetti senza conchiuder nulla, che pare cosa superfua il volerne riparlare. Il P. Benedetti nel suo commentai io sull’Aulularia di Plauto, che citammo pocanzi, animadv. 9., vi si diffonde molto, vagliando tutte le ragioni degli scrittori moderni, che sostengono, o negano quell’uso; e dopo aver date quelle spiegazioni, che crede giustissime ai passi degli scrittori antichi, riportati per l’affermativa, crede poter dire, che i cittadini, che abitavano nella parte superiore delle cale, o in case di un solo piano, dessero uno sfogo al fumo o per il tetto, o nella parte più elevata di esso; quelli poi degli appartamenti inferiori facessero uscire il fumo per qualche finestra aperta in alto alla stanza, ove si faceva fuoco, o per altro buco aperto nel muro; oppure che tenessero una stanza a bella posta per farvi entrar dentro il fumo, e dileguarvisi: i nobili poi, e i ricchi si servissero di stufe, e di foconi, o bruciassero legna infornate. I di lui argomenti per negarne l’uso, sono, che quelli nobili, e ricchi non avrebbero fpeso tanto per fare le stufe; che in Vitruvio, e in nessun antico scrittore se ne fa menzione; che non se ne trovano vestigi nelle antiche fabbriche; e finalmente sui tetti delle fabbriche rappresentate nelle pitture, e musaici antichi non vi si vede indizio del fumajolo. Prima del P. Benedetti anche il marchese Maffei avea scritta su questa materia una dissertazione, inserita nel Tomo XLVII. della Raccolta del P. Calogerà, p. 65. segg., in cui avendo esaminati più antichi autori che il P. Benedetti, si è ridotto a dire, per quelle stesse ragioni, del silenzio di Vitruvio, e del non vedersi fumajoli sulle pitture, ed altri monumenti, nè avanzi di cammini nelle fabbriche, che gli antichi avessero una specie di cammino; ma non come i nostri. Dopo di quelli due scrittori, per quanto leggo presso i! marchese Galiani in una nota a Vitruvio lib. 7. cap. 3. pag. 272., avrebbe rischiarato bene la materia l’aurore della dissertazione, che precede il trattato De la caminologie, ou traitè des cheminées, stampato in Dijon nel 1756.; ma io non so che dirne, perchè non l’ho veduto. Dirò bensì quel che io penso della questione: ed è in sostanza, che io la credo puerile, e indegna di un uomo di città. Se avessero negato questi scrittori, che gli antichi usassero cammini per riscaldare le camere, come usiamo al presente, sarebbe stata la più soffribile la pretensione, che non può esserlo, portandola al segno di negare, che per le cucine eziandio, e per le botteghe non avessero il comodo d’incanalare il fumo con un condotto entro il muro fino al tetto. E per qual motivo non doveano averlo? Taluno è arrivato a dire, perchè non essendo fatte a disegno le case colle finestre dei diversi appartamenti perpendicolari le une sulle altre, non era possibile farvi quel condotto. La difficoltà non merita riposta; essendo falsa la supposizione, che si smentisce colle fabbriche, e colle pitture, e bassi rilievi, e col senso comune. Forse che l’industria degli antichi non fosse arrivata tant’oltre di saper fare un condotto in un muro? Ma pure ve ne facevano tanti per lo scolo delle acque, o per condottare il calore nelle stufe, come confessano i detti scrittori, e siegue ad esporre qui Winkelmann; e questi condotti non solo giravano dritti, o serpeggiando per li muri, e per più appartamenti; ma andavano sino al tetto, come vediamo ancora nelle terme di Diocleziano. Nè servivano per condottare il solo calore; ma ancora per il fumo, che non poteva avere altro sfogo nel modo, che era fatto il luogo, ove ardeva il fuoco, come si dirà qui appresso, e si vedrà dalla pianta: e oltracciò il fuoco stesso, e la fiamma, che s’insinuava nei condotti doveva avere in ultimo qualche respiro. Un uomo poi di città, come potrà figurarsi, che in una Roma, per esempio, si fosse potuto soffrire di far uscire il fumo dalle finestre, e in maniera da non guastare l’esterno aspetto delle case, e da non incomodare coloro, che abitavano negli appartamenti superiori, e quei che camminavano per le strade, se il vento ne spargeva il fumo intorno, principalmente se il fumo proveniva dalle officine di certe arti, che maneggiavano, o bruciavano cose puzzolenti?
Le ragioni del P. Benedetti sono ben frivole. La difficoltà tratta dall’uso delle stufe riguardava al più i cammini da camera; non i condotti del fumo per la cucina, ed altre officine. Se le usavano i nobili, e i ricchi, le usavano per mollezza, al dir di Seneca Epist. 90., essendo per mollezza state inventate dai Sibariti, secondo che narra Ateneo Deipnos. lib. 12. cap. 3. pag. 519. e se sapevano essi, o gli architetti far passare dentro i muri delle stanze quei tubi, potevano con tutta facilità servirsene anche ad uso di cammino, come noi, facendovi un’apertura nella stanza per accendervi il fuoco. Il silenzio di Vitruvio proverebbe troppo, perchè quest’architetto neppur fa menzione di cucine, e di scale, parlando delle case di città, nè di tante altre