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di   W i n k e l m a n n. 209

si appaga d’infarinatura superficiale1. Cammini non sembrano essere stati in uso; e da molte scoperte si potrà verificare quello, che si arguisce dal silenzio di Vitruvio intorno alla corruzione d’un comodo a’ dì nostri riputato necessario. Ma i galantuomini fra gli antichi erano assai più riparati contro il freddo, che non siamo noi, senza cammini con un semplice focone2. Le loro stufe non ben com-

Tom. III. D d prese


    no Borgia lodato più volte, Vatic. Confessio B. Petri, pag. CXLV., ha creduto che il poeta intendesse piuttosto di semplici pitture, o color verde, con cui fosse colorito lo spazio, che era fra gli archi. Ma più ragioni mi sembrano opporvisi, e non mi permettono di acconsentire ad una spiegazione, che del resto venero, e rispetto. E primieramente non è probabile, che Prudenzio dopo aver detto poco prima che l’imperatore avea fatto dipingere tutto il tempio, torni di nuovo dopo quattro versi, ne’ quali tratta d’altre cose, a dire che fece dipingere eziandio fra gli archi:

    Parte alia titulum Pauli via servat Ostiensis,
    Qua stringit omnis cespitem sinistrum.
    Regia pompa loci est: princeps bonus has sacravit arces,
    Lusitque magnis ambitum talentis.
    Bracteatas trabibus sublevit, ut omnis aurulente
    Lux esset intus, ceu jubar sub ortu.
    Subdidit & parias fulvis laquearibus columnas,
    Distinguit illac quas quaternus ordo.
    Tum camuros hyalo insigni varie cucurrit arcus,
    Sic prata vernis floribus renident.

    In secondo luogo, considerando la struttura delle antiche chiese, le quali non erano fatte a volta, come le moderne, ma bensì a soffitto piano, come di questa lo dice Prudenzio, e lo vediamo dalle altre, non vi troveremo le divisioni in tante arcate, fra le quali li potesse poi dipingere: all’opposto arcus camurus, arco piegato, incurvato, semicircolare, si verifica bene degli archi delle stesse finestre. In terzo luogo hyalus, parola greca, vuol dire vetro, come è noto, e lo provaremo con un luogo di Aristofane cui appresso, oltre il passo di Filone citato poc’anzi; e in questo senso è stata usata arche dai latini, come da Virgilio Georg. 4. vers. 335.; e Prudenzio se ne è servito in vece di vitro perchè cosi portava il verso. Finalmente può riflettersi, che essendosi prima di Costantino adoprati i vetri alle finestre, che molte erano in questa chiesa, era ben naturale, che quell’imperatore ve li mettesse sì per riparo del freddo, come per ornamento; e che Prudenzio facendo una minuta descrizione della fabbrica, ne facesse anche menzione. La parola varie aggiunta dal poeta credo appartenga all’altra insigni, non già a cucurrit; cosicché si debba spiegare, che l’imperatore facesse chiudere le finestre con vetri ornati, segnati a varj colori; anziché facesse dipingere in varj modi con insigne, o bel color verde il luogo, che era fra gli archi. Il passo di Aristofane è in Nub. vers. 76. segg., di cui per brevità darò la sola versione latina:

    .... Str. Vidistin' apud pharmacopolas,
    Et aliptas, lapidem illum pulchrum, & pellucidum
    Unde ignem accendunt? So. Num vitrum dicis? (τὴν ὕαλον λέγεις;) Str. Utique.
    So. Quid cum ilio ages ? Str. Scriba mihi scribat dicam,
    Ego procul stans, ad hunc modum, ad solem (ἀπωτέρω στὰς ὧδε πρὸς τὸν ἥλιον) vitro
    Delevero literas intenti, mihi dice.

    Ho portato volentieri quello passo, perchè mi pare, che provi l’uso antico delle lenti di vetro, come le usiamo per ingrandire gli oggetti, delle quali abbiamo parlato nel Tomo iI. pag. 27.; non potendosi concepire altrimenti come quel vetro potesse medianti i raggi del sole abbruciare una cosa, se non era fatto nella maniera delle nostre lenti, che raccolgono i raggi del sole in un punto, o fuoco; e per conseguenza adattato, come usiamo noi, sopra un oggetto, doveva ugualmente ingrandirlo. Ivi lo Scoliaste nota, che Aristofane parla di un vetro lavorato.

  1. Questa taccia potea darsi arche a Salmasio, che al luogo citato nomina s. Girolamo nello stesso modo.
  2. Intorno alla questione, se gli antichi