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di   W i n k e l m a n n. 205

cità della vita privata antica mi fa sovvenire quel passo di Demostene, ove dice, che Temistocle, e Cimone, quel magnifico Cimone, non abitava meglio del suo vicino1. Le case d’Ercolano erano senza finestre, che corrispondessero in istrada; le finestre davano dalla parte opposta verso la marina, dimodoché si passava per le strade senza vedere nessuno affacciato alla finestra. Sulla stessa maniera sono fatte le case in Aleppo, secondo che mi vien detto da un Padre Missionario; e si passa per le strade come per mezzo d’una fortezza, ove non si vede altro, che mura alzate. Povere donne antiche di quel paese, quanto le compatisco! Il peggio si era, che le finestre erano fatte all’uso degli studj de’ pittori, e degli scultori, i quali hanno bisogno di pigliare il lume da alto. Finestre messe così in alto difficoltavano ad appagare la curiosità subitanea (ma che dico finestre? se non ve n’era, che una per stanza), e bisognava arrampicarsi come i gatti per guardar fuori2. Le finestre poi erano tutte quadrate, piuttosto che bislunghe, e tali se ne vedono nelle pitture antiche, in quelle cioè, che rappresentano palazzi, e tempj3; ed alcune erano riparate di fuori con un cancello parimenti quadrato di bronzo massiccio, de’ quali se ne sono conservati due,


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  1. Olynth. 3. Oper. pag. 38., e De Republ. ordin. pag. 127. Vedi qui avanti Tom. I. pag. 254.
  2. A norma della legge dell’imperator Zenone registrata nel Codice di Giustiniano tit. De ædif. priv. leg. 12., in Costantinopoli si facevano alle case due sorta di finestre, una per dar luce alle camere, alta sei piedi greci dal pavimento; l’altra alta appena tanto, che uno stando a sedere vicino ad essa, potette godere il prospetto di fuori: e ciò per non dar soggezione ai vicini, e per godere il prospetto del mare, che tanto si pregiava in quella città. Fu poi estesa questa pratica dall’imperator Giustiniano a tutto l’impero romano nella legge ultima di quel titolo; e segnatamente fu ricevuta in Napoli, e riportata fra le consuetudini di essa città nel Titolo 21. §. Ubi aliquis 5., come fa osservare il signor cavaliere Niccolò Carletti nella esposizione, e commento, che ha stampato ultimamente in Napoli di quella legge, alla pag. 91. seg., e pag. 110. seg. Di questa distinzione di finestre dette volgarmente lucifere, e prospettiche, usate anche talvolta in Roma, e altrove, possono vedersi gli autori, che cita il P. Benedetti nel suo commento sull’Aulularia di Plauto animadv. 9. p. 22.
  3. Si veda il vaso dato nel Tom. I. 9. 238. Tali pretende che fossero generalmente Daniele Barbaro nelle note a Vitruvio lib. 4. cap. 2., e tanti altri scrittori; ma non può farsene una regola generale. Quelle delle antiche chiese, e basiliche di Roma, fatte, come ognun sa, a norma delle basiliche dei Gentili, hanno certamente le finestre bislunghe, e così si veggono negli avanzi di qualche casa antica, e fu bassirilievi.