Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/137


sull’antico tempio di Girgenti. 119

menoma cosa d’un edifizio greco sì antico. Il tempio della Fortuna Virile in Roma, oggidì convertito nella chiesa di s. Maria Egiziaca1, il più cattivo di tutti gli antichi edifizj, è ornato di simili colonne; come ve n’ha pure al teatro di Marcello, e all’anfiteatro di Vespasiano2.

§. 26. Diodoro ci dà un’idea sensibile della grandezza delle colonne del tempio di Giove, col dire che un uomo poteva mettersi dentro una sola scanalatura di esse (διάξυσμα), delle quali una colonna dorica aver ne dee venti3. La larghezza delle scanalature dei pezzi, che restano, è di due palmi romani, ossia due palmi, e tre once e mezza da un angolo all’altro: spazio sufficiente da capirvi un uomo. Il Padre Pancrazi si lagna di non aver potuto ritrovare alcun frammento delle colonne di quello tempio. Le più antiche colonne scanalate, che veggansi a Roma, sono tre colonne isolate, col loro intavolato, in Campo Vaccino. Esse hanno quarantun piede, e cinque pollici romani di altezza; il loro diametro è di quattro piedi, e quattordici pollici; ma le loro scanalature non hanno che la metà della larghezza di quelle del tempio di Giove, non essendo se non che di un palmo. Le più grandi colonne dei tempj greci, dopo quello d’Agrigento, erano quelle d’un tempio di Cizico, la circonferenza delle quali era di quattro ὀργυιαί, o braccia (la ὀργυιά conteneva sei piedi greci ); e si pretende che fossero ciascuna di un sol pezzo4.



§. 27. Le


    che mezze colonne al di fuori; maniera, ch’egli chiama pseudo-perittera, ossia falsamente alata, appunto perchè mostra di avere intorno ale, ossiano porticati, che in verità non vi sono.

  1. Vedi qui avanti pag. 101. not. a.
  2. Galiani al luogo citato di Vitruvio numera fra quelli anche il creduto tempio della Concordia sotto il Campidoglio, di cui parlammo nel Tom. iI. pag. 413., e il tempio di Nimes, di cui parlammo nello stesso luogo pag. 135.; e noi vi aggiugneremo le due mezze colonne del tempio minore di Pesto, ricordate qui avanti pag. 5. n. d.
  3. Così prescrive Vitruvio lib. 4. cap. 3. in fine. Questo scrittore qui chiama le scanalature striæ, e nel lib. 3. cap. 3. striges, ove Galiani nota, che a parlare propriamente striges sono i canali, striæ i pianetti. Wesselingio poi, al luogo citato di Diodoro lib. 13. §. 82. pag. 607. lin. 54., asserisce, che in vece di striges, i manoscritti hanno strigiles, variante, di cui non ha parlato Galiani.
  4. Strab. lib. 14. pag. 941. [Sono queste