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presso i Greci, e loro Pittura. 79


    con pannilini: con che formavasi una specie di vernice, la quale hanno costumato spesso gli antichi maestri di mettere anche sulle altre pitture a fresco per renderle più durevoli, più belle, e più rilucenti. Qualche volta i pittori, per dinotar la pittura encaustica eseguita da loro, vi hanno scritto ἐνέκαυσεν (fatta per inustione). Così usarono fra gli altri Nicia e Lisippo, Plin. lib. 35. cap. 4. sect. 10., & c. 11. sect. 39.: dal che si può inferire che poca diversità vi fosse nell’apparenza tra le altre e le pitture encaustiche: altrimenti inutile sarebbe stato l’avvertimento. Tali sorta di pitture esser doveano delle altre più durevoli. Ciò dà per supposto Plutarco in Amator. oper. Tom. iI. pag. 759. C. allorchè paragona le immagini, che in noi ritraggonsi dalla semplice vista, alla pittura a fresco; quelle, che la vista c’imprime al vedere un oggetto amato, alla pittura encaustica. Le prime facilmente svaniscono, laddove le altre lungamente conservansi nella memoria. Siccome assai antica fu l’invenzione delle pitture encaustiche, e se ne fece uso ne’ tempi, in cui pochi colori adoperavansi nel dipinger a fresco, così pochi colori vi saranno in esse entrati, e forse anche pochi tratti e pochi lineamenti. Io immagino che faranno a un di presso riuscite come le pitture dei vasi detti etruschi: e chi sa che quelle non siano elleno pure pitture encaustiche? Le figure e gli altri disegni rappresentati su que’ vasi sono per lo più monocromatici, ossia d’un solo colore, e questo gialliccio, per cui distaccansi dal fondo scuro de’ medesimi. Sono esse in oltre su di una materia, alla quale applicarsi potea l’inustione; ed un certo lustro vi si scorge, effetto probabilmente di quella lisciatura che dar solevasi colla cera a sì fatti lavori. Ateneo e lo Scoliaste di Teocrito in Idyl 1. vasi rammentano dipinti con cera a varj colori; e Plinio lib. 36. cap. 25. sect. 64., parlando delle terme d’Agrippa, osserva che tutte le opere in terra cotta vi erano in simil guisa dipinte. Dall’analisi però, che il signor d’Hancarville fece dei colori di alcuni vali etruschi, non risulta che siavi in essi entrata la cera. Vedasi ciò che dicemmo nella nota 1. al Capo IV. del Libro III. nel Tomo antecedente pag. 228.

    E quella seconda sorte di pittura encaustica indicataci da Plinio lib. 35. c. 11. sect. 41., in ebore cestro, id est viriculo, in quale maniera sarà ella mai stata eseguita? Il testo è oscuro, e forse vi si deve sottintendere qualche parola, quale sarebbe scalpto, od altra simile, dinotante essere stato l’avorio lavorato col cestro, termine greco, viriculum detto dai Latini, e bulino dagl’Italiani. Ammessa per tanto quell’interpretazione, sarebbe egli assurdo il dire che alle figure incavate con leggiera mano nell’avorio siensi adoperati i colori encaustici, e siasi con quelli eseguito il metodo praticato colle altre pitture di tal sorte? Lala cizicena ne’ primi anni di Marco Varrone chiara si rendè in Roma nel dipingere col cestro in avorio, Plin. loc. cit. sect. 40. §. 43.

    Sopra la terza specie di pittura encaustica, con cui dipingeansi le navi, ci ha dato una dissertazione Caylus Acad. des Inscript. Tom. XVIII. Mém. pag. 179. seqq. Tal pittura faceasi sulla prora, o sulla poppa, ove si soleva effigiare il Dio tutelare della nave, o qualche di lui simbolo o attributo, Lucian. in Navig. §. 5. op. Tom. iiI. p. 251., Ovid. Trist. lib. 1. eleg. 9. vers. 2. & seqq. Una Cibele sulla poppa d’un vascello dipinta coloribus ustis ci vien accennata da Ovidio Fast. lib. 4. vers. 275. Una simile dipintura si è verisimilmente usata anche sulle porte delle case: del che sono un indizio una greca iscrizione presso Salmasio Plin. Exercit. in Sol. Polyhist. c. 20. Tom I. p. 164. B., in cui rammentasi ἔγκαυσις θυρῶν, e un epigramma d’Ausonio num. 26. v. 10, & 11., in cui si legge:

    Ceris inurens januarum limina,
    Et atriorum pegmata.

    L’ultima delle quattro maniere di dipingere a fuoco, essendo la più semplice di tutte, è pur quella su di cui si sono più chiaramente spiegati Plinio e Vitruvio. Fra le molte vetuste muraglie scopertesi in varj tempi e in varj luoghi colorate d’una tinta uniforme, egli è facile che alcune sieno state di quelle dipinte per inustione. Si è continuato a far uso di pitture encaustiche per lo meno fino al VI. secolo, poichè se ne fa qualche cenno da Procopio De caif. Justin. lib. 1. cap. 19.; e nelle leggi di Giustiniano, ove parlasi del cauterio de’ pittori loc. cit. Anche nelle memorie de’ secoli susseguenti s’incontrano non di rado nominati i colori encaustici e l’encausto; non ci consta tuttavia essersi quelli adoperati nella maniera, con cui gli usarono i più antichi pittori. Che che ne sia, ciò che avvi di certo si è che coll’andar degli anni si è smarrita quell’arte nell’Europa, come nota il Bulengero De pict. plast. stat. lib. 1. cap. 6.; e ’l nome soltanto ne rimase a quella tinta nera, fatta ella pure a fuoco, che gl’Italiani poi dissero inchiostro.

    Non è però gran tempo che risvegliossi il desiderio di rimetterla in pratica, e due illustri soggetti nella Francia vi si applicarono efficacemente, cioè il detto conte di Caylus e il signor Bachelier. Ne tentò questi il progetto nell’anno 1749., sebbene con esito non troppo felice. Dopo pochi anni propose l’altro le sue idee sopra di ciò all’Accademia della pittura di Parigi, e nell’anno I754. fece eseguire dal signor Vien un quadro encaustico d’una testa di Minerva, il quale con altri due


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