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presso i Greci, e loro Pittura. 71

M. Ludio greco d’ Etolia, che era un Ilota fuggiasco, cioè uno schiavo degli Spartani1. Di ciò facea fede il suo proprio nome scrittovi in lingua romana, e in caratteri della più antica forma2. Dal contesto di quanto narra Plinio de’ due greci pittori Damosilo e Gorgaso, i quali dipinsero il tempio di Cerere in Roma, e sotto la pittura il proprio nome scrissero, appar che quello ne’ primi anni, anzichè ne’ tempi posteriori della repubblica sia avvenuto3. E’ in oltre verosimile che greco lavoro siano la maggior parte delle pitture rimasteci; poichè i ricchi romani avean al loro servigio i pittori ch’erano liberti, e per conseguenza esser non poteano originalmente romani4; del che ar-

  1. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 37.
  2. Scrive Plinio lib. 35. c. 10. sect. 77. che i versi in lode di M. Ludio erano scritti in caratteri antichi latini; e nello stesso libro c. 3. sect. 6., che le pitture erano più antiche di Roma. Può vedersi ciò che osserva intorno alla lingua, in cui erano scritti quei versi, il ch. Tiraboschi Storia della Letter. Ital. T. I. par. I. §. XII.
  3. Id. lib. 35. cap. 12. sect. 45. [ Al più si potrà raccogliere da Plinio, che quelli artisti non siano stati negli ultimi tempi della repubblica di Roma; perocchè essi fecero anche dei lavori di terra cotta per quel tempio, come dice Plinio loc. cit., e forse qualche simulacro; e tali simulacri di terra cotta non si fecero più dopo la conquista dell’Asia, come egli scrive lib. 34. c. 7. sect. 16. L’elogio in versi fu posto loro dal popolo di Ardea.
  4. Gli antichi Romani tenevano gli schiavi al loro servizio per tutti gli uffizj e di necessità, e di piacere, come può vedersi, fra gli altri, nei trattati, che hanno fatto intorno ad essi, ed ai loro impieghi, il Pignorio e il Popma. Vi tenevano anche di quelli, che dipingessero, come si prova dalla l. Forte quod pictorem 28. ff. De rei vind., e l. Inde Neratius 23. Item Julianus 3. ff. Ad leg. Aquil.; e se li mettevano in libertà, si facevano promettere, che occorrendo loro di far fare qualche pittura dovessero essi liberti effer tenuti a farla senza pagamento, l. Hæ operæ. 23. ff. De oper. libert. Ciò sia detto perchè taluno non equivochi per il dire, che fa il nostro Autore, che i signori tenevano al loro servizio i liberti. Ma potrà poi dirsi, che questi fervi, e liberti pittori fossero greci di nazione, come dice lo stesso Autore; e che loro opere siano le enumerate pitture, e tante altre fatte in Roma? Per poter sostenere tale opinione converrebbe dire in primo luogo, che tali pittori fossero stati fatti schiavi, e condotti in Roma prima dei tempi di Augusto, quando fu conquistata la Grecia, o al più lungo da Augusto medesimo, secondo che Winkelmann discorre appresso lib. X. capo iiI. §. 2. e seqq., e libro XI. capo I. §. 11.; poiché dopo che furono ridotti a dovere i Greci, più non vi furono fatti schiavi: in secondo luogo dovrebbe anche dirsi, che quei che sopravvissero, mutando affatto il loro stile, si adattassero alla maniera introdotta da Ludio sotto lo stesso Augusto, di cui Winkelmann parla qui appresso nel §. 28., e secondo quella maniera facessero nello stesso giro d’anni le citate pitture di Roma, e quelle d’ Ercoiano, Stabbia, e Pompeja, che tutte fatte sono alla maniera di Ludio, come più a lungo sostiene Winkelmann nel libro VIII. capo iiI. §. 3. e 4.: il che non potrebbe sostenersi. Al più concederemo, che ai tempi di Augusto qualche pittore greco fatto schiavo (come greco potrebbe credersi quell’Eracla liberto di Livia nominato in una iscrizione del colombajo dei liberti, e servi di questa augusta presso il Gori, num. 126.) abbia lavorato alla maniera di Ludio a qualcuna di dette pitture; ma dopo tal tempo o avranno lavorato i greci artisti, che venivano a cercar fortuna nella capitale dell’impero; o pittori romani, come lo erano quelli, che seguita a nominare qui il nostro Autore, Papirio Vitale citato da me nella nota a. alla pag. 70., Quinto Pedio, e il nostro giurecon-

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