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dai tempi d’Adriano ec. | 421 |
§. 11. Credono molti scrittori che statua sia del mentovato imperatore quella quas colossale, che vedesi nella villa Giustiniani; e quella nobil famiglia, che deduce la sua origine da tal imperatore, ha vieppiù accreditata quella opinione con una iscrizione fattavi apporre non ha molti anni, ma senz’alcun fondamento. Tale statua, comunque mediocre, pur farebbe un prodigio dell’arte se lavoro fosse di questi tempi. Notisi che la testa n’è nuova, e copiata da una di M. Aurelio in sua gioventù.
[Pretesa statua di Belisario.] §. 12. V’è nella villa Borghese una statua sedente, di grandezza minore del naturale, che tiene la destra sul ginocchio, ed è stata mal a proposito creduta l’effigie di Belisario mendicante, perchè tiene la detta mano aperta e concava, come in atto di ricevervi qualche cosa1. Potrebbe questa rappresentare un di coloro che mendicavano per Cibele, ai quali soltanto, dopo le leggi delle dodici Tavole, era ciò conceduto in Roma2. Chiamavansi quelli Μητραγύρται dalla madre degli dei, e Μηναγύρται perchè a tal questua era destinato un giorno per ogni luna3.
§. 13. Sembra però che dar si possa a quella statua una spiegazione più erudita. Leggiamo in Suetonio che Augusto soleva ogni anno contraffare per un giorno il mendico, e sporgeva la mano colle dita raccolte (cavam manum) per ricevere l’elemosina. Questo egli facea come un’espiazione alla
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- ↑ Ed è una favola, che Belisario fosse fatto accecare per ordine dell’imperator Giustiniano, o di Teodora, e fosse corretto a mendicare. Si legga tra gli altri il cardinal Orsi Istoria eccl. T. XIX. lib. 42. §. 85., e il signor abate Invernizzi nella sua dotta opera De rebus gestis Justiniani Magni, lib. 11. §. 15.
- ↑ Cic. De leg. lib. 2. cap. 16. n. 40.
- ↑ Suida v. Μηναγύρτης.
imperatore §. Siquis in aliena 4. Instit. De rer. divis., cioè che se un pittore dipingeva sopra una tavola che non fosse sua, egli ne diventasse padrone per mezzo della pittura, pagandone però il prezzo; per la ragione che sarebbe stata cosa ridicola, che la pittura d’un valentuomo, come, per esempio d’Apelle, o di Parrasio, avesse dovuto cedere ad una vile tavola, ossia che avesse dovuto restare del padrone della tavola, perchè fatta su di una cosa altrui, come era stabilito per chi scriveva in una membrana, o carta non sua, ancorchè con lettere d’oro. Tale disposizione fa vedere che si faceva puranche qualche stima delle arti del disegno a quel tempo.