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416 | Storia delle Arti del Disegno |
struggere le statue degli dei, così lo stesso destino abbiano avuto in tutta la Grecia i monumenti dell’arte che ancor vi rimanevano1. In Roma per impedir tanto male fu destinato un ispettore sulle statue detto Centurio nitentium rerum; e questi comandava a de’ soldati, i quali giravano per la città principalmente alla notte, affinchè quelle non venissero fatte in pezzi o mutilate2. E quando la religion cristiana cominciò a dominare più apertamente, allora depredati furono i tempj3, dai quali gli eunuchi dei Costantini, che in loro vece governavano l’impero, prendeano i più ricchi lavori
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- ↑ Eppure il buon gusto non dovea essere affatto perduto anche dopo i tempi di Costantino, rilevandosi da Libanio, il quale viveva ai tempi di Giuliano l’apostata nipote di esso imperatore, e anche ai tempi di Teodosio, che gli artisti greci andavano ancora a disegnare con tutta la possibile scrupolosità, ed esattezza il Giove Olimpico di Fidia, che allora stava a suo luogo, come vi stava la Minerva famosa di lui in Atene, secondo che abbiamo dallo stesso Giuliano Orat. 2. De Constantii imp. reb. gest. op. T. I. p. 54. A., e Epist. 8. p. 377. A. e da Temistio Orat. 25. p. 310. A., Orat. 27. p. 337. B. Tanto mi pare che dica quel sofista Epist. 1052. pag. 497., scrivendo: Si igitur statuariis Pisam euntibus persuaseris, ut in illo Jovis simulacro aliquid mutare audeant, & nos quoque adversus hanc Phidiæ orationem idem facere jube. Vedi appresso al §. 16. Un saggio di questo buon gusto, e dell’arte d’intagliar le gemme, l’abbiamo nel famoso zaffiro di una nitidezza incredibile, e del peso di 55. carati, posseduto ora, dopo esser passato in tanti musei, e anche nel reale di Francia, dal signor marchese Rinuccini a Firenze. Vi è rappresentata con un lavoro straordinariamente bello una caccia dell’imperator Costanzo in Cesarea di Cappadocia, ove forse la gemma sarà stata lavorata, o per adulazione all’imperatore, o per piacere di qualche privato. Della perizia di lui in uccider orsi, leoni, e pardi ce ne fa fede Giuliano cit. Orat. 2. pag. 53. B. Nella gemma si figura che uccida con una lunga asta un gran cignale, che dovea esser celebre in quelle contrade, come può arguirsi dal nome ΞΙΦΙΑС Sifia, che vi è scritto al di sopra. Accanto a Costanzo, che ha pure il suo nome in latino, vi è un’altra figura con asta in mano, che senza buona ragione Frehero crede Diana; in fondo v’è una figura giacente a uso di fiume con cornucopia nella destra, e sotto ΚΕСΑΡΙΑ ΚΑΠΠΑΔΟΚΙΑ: il campo è sparso di piante. Fu illustrata dal citato Frehero, e pubblicata da Du Cange in fine del Glossarium mediæ & infimæ Latinitatis, e ripetuta poi in grande molto meglio disegnata nella di lui opera: De imperatorum Constantinopolitanorum, seu inferioris ævi, vel imperii, uti vocant, numismatibus, ristampata separatamente in Roma nel 1755. in 4.
- ↑ V. Vales. Not. ad Amm. lib. 16. cap. 6. [ Anche prima di questi tempi v’erano in Roma leggi penali, e magistrati per impedire i danni, che si facevano alle statue, e castigare i colpevoli. Vedi Guasco De l’usage des stat. iI. part. cap. XXI. pag. 382. segg. Quella notizia servirà parimente a supplire a ciò che scrive il ch. Tiraboschi l. cit. §. iI., non avendo saputo trovare provvedimento fatto dai principi anteriori a questi tempi per la conservazione dei pubblici monumenti.
- ↑ Dacché la religione cristiana incominciò ad essere la religione dominante, più che a’ tempj de’ Gentili mosse guerra ai loro idoli, molti de’ quali atterrati furono e distrutti dai Cristiani, Sozom. Hist. eccl. lib. 5. cap. 7. &c. Hier. Epist. 107. ad Lætam, num. 1. 2. oper. Tom. I. col. 672., a cui troppo stava a cuore il togliere dì mezzo l’oggetto principale dell’idolatria. [ Prudenzio Contra Symm. l. 1. v. 502. segg. fa dire a Costantino, che voleva conservate le statue per ornamento di Roma, purché si riguardassero come semplici monumenti dell’arte, non come oggetti di superstizione:
Marmora tabenti respergine tincta lavate,
O Proceres: liceat statuas consistere puras,
Artificum magnorum opera. Hæ pulcherrima nostræ
Ornamenta cluant patriæ, nec decolor usus
In vitium versæ monumenta coinquinet artis.