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ancora saputo spiegare il significato della parola posta sotto ΣΑΥΡΟΣ, presso una lucerta, perchè mancano alcuni de’ sassolini che la componevano1. Ivi si dee leggere ΠΗΧΥΑΙΟΣ, che è l’aggettivo di πῆχυς, voce che significa una misura d’un palmo e mezzo; onde dee leggersi: σαῦρος πηχυαῖος, lucerta d’un palmo e mezzo; e tale è appunto la lunghezza dell’animale qui espresso.

§. 8. Questo musaico non è certamente de’ più fini, anzi è pel lavoro molto inferiore ad un altro più piccolo esistente nel palazzo Barberini in Roma, e trovato in un pavimento del medesimo tempio. Ivi rappresentasi Europa rapita: nella parte superiore veggonsi alla sponda del mare le sue compagne sbigottite e dolenti col di lei padre Agenore, che spaventato v’accorre2.

[Arti favorite dal lusso...] §. 9. Il trapiantamento, se così possiamo chiamarlo, dell’arte greca in Roma molto debbe alla pompa, pricipalmente nelle fabbriche, anche per abitazione di cittadini privati, le quali in pochi anni a tanta magnificenza crebbero, che la casa di Lepido (il quale fu console l’anno dopo la morte di Silla) considerata allora per la più bella di Roma, dopo trentacinqu’anni meritava appena il centesimo luogo3. Or. siccome le antiche abitazioni non aveano che un piano solo, e siccome scrive Varrone e vedesi tuttavia nelle ruine di Pompeja, rinchiudeano un sol cortile, detto da’ Romani cavædium, e da’ Greci ἀυλή4, essendo quelle poscia state al-

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    te. La figura, che dà a bere, tiene un lungo ramo di palma, o d’altra pianta, nella mano sinistra. Il supposto cataletto è una mensa con sopra un candeliere acceso, che portano quattro persone, uscendo da un tempio, ove sono sacerdoti coronati di frondi, e con varj strumenti. Accanto vi è un cane, o scimia, sopra una base, che forse vi sta per idolo. È certamente difficile a spiegarli il soggetto di questo musaico. Ciò che pare sicuro, è che vi si rappresentino delle feste, una caccia, e una pesca, fatte forse da qualcuno dei Tolomei in occasione dell’allagamento del Nilo, e di qualche sua vittoria. Si sono trovati in altri pavimenti dei musaici con delle cose egiziane presso a poco sullo stesso gusto. Forse gli antichi Romani guardavano per ornati le cose dell’Egitto, come noi le cose della Cina. V. Lib. XII. C. I. §. 11.

  1. Barthel. loc. cit. pag. 535.
  2. Ne dà la stampa in rame Ciampini loc. cit. Tab. 33. pag. 82., e l’Enciclopedia.
  3. Plin. lib. 36. cap. 15. sect. 24. §. 4.
  4. Può vedersi il traduttor fiorentino dei Caratteri di Teofrasto, cap. 18. Tom, iiI. pag. 245. not. 2.