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312 | S t o r i a dell’A r t e greca |
gione di molte cose che veggonsi nel musaico. Menelao esser potrebbe l’eroe che beve ad un corno; e la figura muliebre che mostra d’avervi versato qualche liquore, e tiene tuttavia nelle mani il simpolo (vaso che qui non è stato sinora ben riconosciuto), farebbe Polidanna, che gli dà a bere il nepente, come presso Omero dato avealo dianzi ad Elena1. Per meglio intendere il tutto basterebbe riportarsi alla tragedia d’Euripide. Secondo lui Elena non è rapita da Paride, ma da Giunone è trasportata in Egitto, e non resta al drudo che un’immagine formata d’aria. Menelao dopo la presa di Troja, spinto da una procella al Faro d’Egitto, ivi trova sua moglie, amata e richiesta in ispofa da Teoclimene figliuolo di Proteo re d’Egitto. I due consorti meditano di fuggire, e per meglio riuscirvi, Menelao sconosciuto in quel paese si finge un messo, che venga a portare ad Elena la nuova del naufragio e della morte di suo marito. Essa allora fa sembiante d’acconsentire alle inchieste di Teoclimene; ma prima vuole dal re una nave per fare le esequie a Menelao in mare, dicendo esser costume de’ Greci, che le spose rendano ai mariti gli ultimi onori in quel luogo, e su quel letto in cui cessaron essi di vivere2. Il re lieto l’accorda, e mentre il tutto appresta per celebrare il matrimonio con pompa, Elena parte con Menelao, né più ritorna.
§. 7. Ciò premesso rendesi ragione della cassa quadrilunga portata da quattro persone a foggia d’un cataletto, e forse indica il letto chiesto da Elena come necessario a tal rito. Essa può ravvisarsi in quella figura muliebre che siede innanzi a loro. Ivi pur vedesi sulla sponda la nave. In coloro che beono e che suonano sotto una pergola, raffigurarsi posssono i preparativi delle feste nuziali3. Finora non s’è
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