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capi d’opera. Così Panfilo voleva essere ben ricompensato delle sue fatiche: egli non riceveva gli scolari che per dieci anni, e questi per essere istruiti non poteano dargli meno d’un talento, cui pur pagarongli Apelle e Melanto. Quindi avveniva che non solo gli scolari suoi erano ingenui, poiché fra i Greci gli uomini di condizione servile non poteano esercitare le arti del disegno, ma eziandio ricchi cittadini. Quanto celebri fossero le pitture di Panfilo, anche lui vivente, argomentar lo possiamo dalla maniera con cui vien recato ad esempio presso Aristofane di lui contemporaneo1 quel suo quadro in cui erano rappresentati gli Eraclidi, ossia i discendenti d’Ercole, che co’ rami d’olivo in mano imploravano la protezione ed ajuto degli Ateniesi. Allora le pitture, che aveansi in grande stima, a caro prezzo pur si pagavano. Mnasone, tiranno di Elate nel paese di Locri, pagò mille mine (cioè 10000. scudi romani) un quadro d’Aristide2, contemporaneo di Apelle, in cui v’erano cento figure ragguagliate al prezzo di dieci mine per ciascuna, e rappresentava una battaglia contro i Persi; e fu più generoso ancora con Asclepiodoro, a cui diede trecento mine per ognuna delle dipinte figure de’ dodici dei maggiori3. Trecento mine ebbe pur da lui Teomneste per ciascheduno degli eroi d’ordine suo dipinti4. Ne’ tempi seguenti e presso i Romani Lucullo pagò due talenti un quadro rappresentante la famosa Glicera sedente con una corona di fiori in mano, sebbene fosse questo una copia, e non l’originale di Pausia5. Così il celebre Ortensio comprò gli Argonauti, quadro di Cidia, al prezzo di 144000. sesterzj, cioè di 14400. fiorini6; e superiore a tutti questi fu il prezzo di ottanta{{PieDiPagina||F f 2|ta-


  1. in Plut. vers. 385. [ Lo porta per paragone della composizione ad un altro fatto.
  2. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 19.
  3. ibid. §. 21.
  4. ibid.
  5. ibid cap. 11. sect. 40. §. 23.
  6. ibid. §. 26. [ 3600. scudi romani.