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208 Storia dell’Arte presso i Greci

[Mirone.] §. 30. Mirone vien da Plinio nominato in ultimo luogo fra gli artisti che fiorirono nell’olimpiade lxxxvii. Egli ha principalmente lavorato in bronzo, e son del pari pregiate le sue figure, o animali rappresentino o uomini. Intorno all’ara posta nell’atrio del tempio d’Apollo, edificato da Augusto a Roma sul Palatino1, eranvi quattro buoi di suo lavoro2; la sua vacca3 è celebrata in molti antichi epigrammi4,


fra


    doro lib. 5. §. 28. pag. 351., Giulio Cesare De bello gali. lib. 5. cap. 14., Sidonio Apollinare Panegyr. Major, v. 243., Pelioutier Hist. des Celtes, lib. 2. cap. S. tom. iI. pag. 186., e ne abbiamo l’esempio nelle Tavole I. e iI del Tomo antecedente, in cui possono credersi rappresentati due soldati celti, come si è detto ivi alla pag. 46.; non però crederei mai, che i Greci volessero prevalersi di tal gente per un uffizio non poco geloso; e poi rileviamo dal lodato Ateneo nel lib. 6. c. 6. pag. 234. E., che erano greci gli araldi, e di una determinata famiglia; né ho mai trovato un esempio in contrario.
    Con tutte le osservazioni fatte fin qui mi pare che resti affatto dubbiosa l’opinione del nostro Autore. Io ne proporrò un’altra, che non molto se ne allontana, e pare che potrebbe avere qualche apparenza di verità. Sospetterei pertanto, che vi fosse effigiato un trombetta spartano, il quale si sia con qualche azione straordinaria segnalato, o che per altra ragione abbia meritata una statua. Gli eserciti spartani avevano i suonatori di trombe, e tibie, e al loro suono marciavavano, davano la battaglia, e si ritiravano con ordine, e regola determinata, Tucidide Hist. lib. 5. cap. 70. pag. 360., Plutarco Lacon. apophthegm. oper. Tom. iI. pag. 210. in fine, e Lacon. instit. pag. 238. B., Luciano De saltat. §. 10. op. Tom. iI. pag. 273., Ateneo lib. 14. cap. 6. pag. 627. D. A questi trombetti conveniva la corda al collo, e conveniva anche lo scudo per ripararsi mentre facevano il loro uffizio. Quando in Grecia s’introdusse di radere la barba, come si è detto, gli Spartani, che erano fra’ Greci i più bravi, per segno forse di maggior coraggio, e fierezza, ritennero i mustacci, come abbiamo da Antifane presso Ateneo l. 4. cap. 9.pag. 143. princ., il quale appunto viveva ai tempi d’Alessandro il Grande, secondo lo stesso Ateneo lib. 13. princ. p. 555. E siccome in appresso fu comandato, e se ne riprovava ogni anno l’editto dagli Efori, di non pur portarli, al dir di Plutarco De sera num. vind. oper. Tom, iI. pag. 550.; potrebbe credersi, che la statua fosse eretta al trombetta spartano circa, o dopo i tempi d’Alessandro, ai quali pure conviene il lavoro di essa per la sua eccellenza. Potrebbe anche pensarsi, che vi fosse rappresentato un armigero, o scutigero, ossia uno di quei soldati, che accompagnavano i capitani, portando loro le armi, e riparandoli all’occasione collo scudo dai colpi de’ nemici, in quella guisa, che Ajace faceva riparo a Teucro per salvarlo, Luciano in Paras. §. 49. Tom. iI. p. 874. Essi, oltre le armi, portavano il corno per chiamare all’ordine del capitano i soldati, e per dare il segno della battaglia. Uno di quelli era precisamente Miseno, che acompagniava Ettore, nominato da Winkelmann} e tale ce lo descrive Virgilio loc. cit.:

    Misenum æolidem, quo non præstantior alter.
    Ære ciere viros, Martemque accendere cantu.
    Hectoris hic magni fuerat comes, Hectora circum
    Et lituo pugnas insignis obibat, & hasta.

    Chi sa che taluno di questi, o spartano, o barbaro al servizio dei Greci, non si sia distinto per difendere il suo capitano, restanstandovi anche morto; e che il capitano per gratitudine gli abbia fatta fare quella statua per immortalarlo ?

  1. Prop. lib. 2. el. 31. vers. 7.
  2. Nel Tomo I. pag. 387. not. c. ho spiegato per vacche il boves di Properzio, supponendo che potessero essere sul modello della famosa vacca. Se si volessero credere veramente bovi, io non contradirei molto.
  3. Posseduta dagli Ateniesi, Cicerone in Verr. act. 2. l. 4. c. 60.; quindi trasportata in Roma, ove si vedeva nel Foro ancora ai tempi di Procopio, che ne parla De bello goth. l. 4. cap. 21.; cioè verso la meta del vi. secolo.
  4. Trentasei epigrammi leggonsi nell’Antologia greca sopra tal vacca. Egli è uopo dire che questa ed altre opere insigni di Mitene fieno state pagate più colle lodi che coi denari, poiché visse egli, e mori assai povero, Petron. Arb. in Satyr. pag. 322.