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d’un Apollo, che la robustezza d’un Ercole, o l’età matura d’un Esculapio. Per questa cagione coloro che voleano biasimarlo diceano, che si desiderava maggior espressione nelle sue figure, cioè che le parti vi si fossero più fortemente indicate1.

[...sue opere.] §. 16. La più grande e la più famosa opera di Policleto era la statua colossale di Giunone in Argo, d’avorio e d’oro2; ma il più bello de’ suoi lavori erano due giovanili statue d’uomini3, delle quali una diceasi il Doriforo (porta-lancia) probabilmente per la lancia che teneva, e l’altra chiamossi il Diadumeno (cingentesi) perchè stava cingendosi con una benda la fronte45, come il Pantarce di Fidia in Elide6. Il Doriforo servì in seguito di norma per le proporzioni agli artisti7, e principalmente a Lisippo8.


  1. Diligentia ac decor in Polycleto supra cæteros, cui quamquam a plerisque tribuitur palma, tamen, ne nihil detrahatur, deesse pondus putant. Nam, ut humanæ formæ decorem addiderit supra verum, ita non explevisse deorum auctoritatem videtur. Quin aetatem quoque graviorem dicitur refugisse nihil ausus ultra leves genas. Quint. Inst. lib. 12. cap. 10. [ Pare che Dionisio d’Alicarnasso De Isocr. jud. num. 3. oper. Tom. iI. pag. 152 ne dia un giudizio tutto opposto, paragonando Policleto a Fidia, e rilevando il loro merito per una certa sodezza, o gravità, dignità, e maestria, che vedeasi nelle loro opere: κατὰ τὸ σεμνόν, καὶ μεγαλότεχνον καὶ ἀξιωματικόν. Cicerone, o altri che sia l’autore, Rhetor. ad Herenn. lib. 4. c. 6. n. 9. lo fa eccellente sopra tutti nel lavorare il petto delle figure; che non è poi la parte più difficile, per non dire, che è la più facile. Noterò a questo proposito, che si ricava da questo scrittore loc. cit., che generalmente i maestri davano ai loro scolari per modelli da studiarsi le teste di Mirone, le braccia di Prassitele, e i petti di Policleto.
  2. Paus. lib. 2. cap. 17. pag. 148. lin. 18.
  3. Plin. loc. cit. §. 2.
  4. Luciano in Philops. §. 18. op. Tom iiI. pag. 45. Ved. appresso al §. 31.
  5. È probabile che tale statua sovente sia stata copiata e forse in una figura della villa Farnese è stato imitato il Diadumeno di Policleto, o una sua copia almeno. Ignuda è tal figura, alquanto minore della grandezza naturale, in atto di legarsi una binda interno alla fronte, e ciò che è ben raro, le si è conservata la mano, con cui si cinge. Una figurina in basso rilievo a questa somiglievole vedeasi, non ha guari, in una piccola urna della villa Sinibaldi coll’iscrizione DIADVMENI; e su una base marmorea d’un antico candelabro nella chiesa di s. Agnese fuor di Rema, [ ora amendue nel Museo Pio-Clementino ]; su due altre simili basi nella villa Borghese saltan fuori dalle foglie due elegantemente lavorati Amoretti, che cingonsi con una benda la fronte.
  6. Paus. l. 5. c. 11. pag. 401. lin. 25. segg.
  7. E chiamavasi per antonomasia il canone, come abbiamo da Plinio l. 34. c. 8. sect. 19. §. 2., Luciano De morte Peregr. §. 9. T. iiI. pag. 331., e da Galeno De temperam. lib. 1. cap. ult. op. Tom. iiI. pag. 50., e De Hippocr. & Platon, placit. lib. 5. c. 3. Tom. V. p. 162. ove scrive, che Policleto stesso così la chiamò, e che la formò secondo la regola delle proporzioni, e della simmetria delle parti, che aveva esposte in un libro intitolato parimente il canone, ossia la regola. Tzetze Chil. 6. hist. 191. vers. 325. dice che anche una di lui pittura serviva di regola ai pittori.
  8. Cic. De clar. orat. cap. 86. num. 296.

B b 2 §. 17. Mol-