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160 Progressi e Decadenza dell’Arte

none Lacinia a Crotona nella Magna Grecia1 fece levar le tegole di marmo, e trasportarle a Roma per coprirne un tempio, ch’egli edificar voleva in adempimento d’un voto2. Il censore M. Emilio suo collega fè lastricare di marmo un mercato, e ciò che pare strano, con una palizzata poi circondollo3.

§. 30. L’immensa copia di bellissime immagini e statue, onde Roma era piena, e i molti artisti condottivi fra gli schiavi destarono al fine nel cuor de’ Romani l’amore per le belle arti, di maniera che eziandio i più nobili faceano in esse istruire i loro figliuoli. Così P. Emilio, il vincitore dell’ultimo re di Macedonia, ebbe a maestri de’ suoi figli scultori e pittori, che a quelli le proprie arti insegnarono4.

§. 31. Dopo breve tempo, nell’anno di Roma 564. Scipione Africano il seniore fece collocare la statua d’Ercole nel di


lui


    tezza senza, valersi di travi. Lo stesso uso facevasi della pietra albana, così detta dal luogo onde traevasi: eran ambedue probabilmente di origine vulcanica. Suetonio in Aug. c. 72. parla di colonne fatte di questo sasso; e Vitruvio De Archit. lib. 2. c. 7. avverte che facilissimo è a lavorarsi. Ove sia in luogo difeso, non si guasta; ma se è allo scoperto, si sfarina e si consuma. Il ributtino per ultimo veniva dalle vicinanze di Tivoli: e un sito ancora più specifico delle latomie di esso, siccome pure del summentovato gabinio, e di certa pietra rossa ci vien additato da Strabone l. cit. pag. 64., il quale dopo d’aver decritta la celebre cateratta dell’Aniene ossia del Teverone, soggiugne: „ Quindi se ne scorre quello fiume lungo que’ luoghi, ove tagliasi la pietra tiburtina e la gabinia, siccome quell’ancora che dicesi rossa, acciocchè dalle latomie si possa agevolmente per mezzo delle navi trasportare a Roma, dove un uso grande se ne fa nelle fabbriche „. Una tal navigazione sull’Aniene essendo col tempo mancata, il trasporto del tiburtino a Roma fassi per terra. I tentativi, che Agostino Steuco da Gubbio Orat., ad Paul. III. de rest. navig. Tyb. p. 221. dice essere stati fatti da Paolo III. per rimettervela, non hanno all’espettazione corrisposto. „ Se questa specie di marmo regge al sovrapposto peso e all’ingiurie de’ tempi, soggiugne il citato Vitruvio l. cit., esso nondimeno è soggetto all’azion del fuoco per cui facilmente si screpola e si discioglie„. Riuscendo perciò il tiburtino assai atto a calcinarsi, ad un tal uso si adopera oggidì in Roma e ne’ vicini Paesi.

  1. Liv. lib. 42. cap. 4. n. 3.
  2. Ciò avvenne nell’anno 579., e il censore era Quinto Fulvio Fiacco, come scrive bene Winkelmann appresso al libro X. capo iiI. §. 35. Il motivo, che adduce Livio loc. cit. di un tale attentato, fu perchè il censore, volendo fare un tempio, di cui non vi fosse in Roma nè il più grande, nè il più magnifico, credette di fargli un maggior ornamento col coprirlo di tegole di marmo; cosa che probabilmente non era stata veduta ancora in questa città: e avendole trovate in quel tempio di Giunone, stimò cosa indifferente di tornele in parte per soddisfare al suo capriccio. Dal che non mi pare si porta dedurre l’argomento che ne deduce il nostro Autore.
  3. idem lib. 41. cap. 26. n. 32. [ Il censore compagno di Q. Fulvio Flacco nell’anno 578. era A. Postumio Albino; e di comun sentimento fecero fare quel lavoro. M. Emilio Lepido era pontefice massimo. Livio l. cit.
  4. Plutarch. in Paul. Æm. oper. Tom. I. pag. 258. B.