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presso i Greci e presso i Romani. 129

§. 4. A questa immensa copia di geroglifici e di figurine paragona dunque Petronio quegli ornati sì ripieni d’immagini e di figure insignificanti, de’ quali a’ tempi suoi comunemente s’occupava la pittura; e quest’arte fu da lui chiamata compendiaria, perchè in un ristretto luogo tante e sì diverse cose, quasi in compendio, accozzava. Pare che a questa maniera di dipingere debbano riferirsi le lagnanze di Vitruvio1 sopra la pittura de’ suoi tempi, in cui, diceva egli, non v’è punto di verità, e dipingono de’ mostri, anziché le vere immagini delle cose: nunc pinguntur tectoriis monstra potius, quam ex rebus finitis imagines certae2. Or poiché, secondo Vitruvio, la pittura era in fiore quando negli antichi edifizj rappresentavansi le immagini degli eroi, la mitologia, e la storia con una perfetta imitazione del vero; necessariamente dovettero, a così dire, tarparsi le ale a quest’arte allorché s’introdusse l’abuso di rappresentare oggetti insignificanti, mostruosi e strani, ond’essa misera divenne, s’avvilì, e si perdè3. Osservisi qui che per lo più la moltitudine delle figure in un quadro, come talora la

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  1. lib. 7. cap. 5.
  2. Tali pitture diconsi da noi grotteschi o arabeschi; e forse le qui descritte e disapprovate da Vitruvio, sono simili a quelle delle Terme di Tito in Roma, che scoperte furono ai tempi di Leone X., e imitate allora dal gran Raffaello nelle logge Vaticane; e che nuovamente trovate in questi ultimi anni, sono state nel 1776. e segg. pubblicate in gran foglio da Lodovico Mirri. Il signor abate Carletti, che ha spiegate quelle pitture Le ant. cam. delle Terme di Tito, ec., p. 9. si argomenta di sostenerne il merito, dicendo che piacer devono per la vaghezza, e perchè nella stravaganza loro somigliano ai sogni che pur dilettano, ancorché fantastici siano e rappresentino cose che non possono esistere in natura.
  3. Perchè meglio s’intenda la spiegazione data da Winkelmann al passo di Petronio, riporterò per esteso le parole di Vitruvio secondo la traduzione del sig. marchese Galiani. “Queste pitture però, che erano dagli antichi copiate da cose vere, sono ora per depravato costume disusate; giacchè si dipingono su gli intonachi mostri piuttosto, che immagini di cose vere. Così in vece di colonne si pongono canne, e in vece di frontespizj arabeschi scanalati ornati di foglie ricce, e di viticci: o candelabri, che reggono figure sopra il frontespizio di piccole casette, o molti gambi teneri, che sorgendo dalle radici con delle volute racchiudono senza regola figurine sedenti: come anche fiori, che usciti dai gambi terminano in mezzi busti, simili alcuni ad effigie umana, altri a bestie: quandochè queste cose non vi sono, non vi possono essere, nè mai vi sono state: e pure queste nuove usanze hanno prevaluto tanto, che per ignoranti falsi giudizj si disprezza il vero valore delle arti. Come può mai infatti una canna veramente sostenere un tetto, o un candelabro una casa cogli ornamenti del tetto, o un gambicello così sottile e tenero sostenere una figura sedente, o pure da radici, e gambi nascere mezzi fiori, e mezze figu-