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mi, e ad alcuno pur bastò di darci un dizionario latino delle cose più usuali. Quando poi si cominciò a fare qualche attenzione agli antichi lavori, prendeasi ad esaminarne uno o più in particolare, ma non pensavasi ancora a formarne uno studio sistematico. Avrebbono, a vero dire, gl’italiani dovuto trattare de’ gran monumenti dell’arte presso di loro serbatisi, cioè del Laocoonte, dell’Apollo di Belvedere, della Niobe ec.; ma essi, trascurando quelli grandi oggetti, profusero un’ampia e stucchevole erudizione su figurine insignificanti, su idoletti, o simili piccoli lavori di bronzo: e ne’ commenti che ci hanno dati fu tali oggetti, quanto mai non sono essi lontani dall’aver le viste e ’l gusto d’un vero conoscitore!1

La prima regola di critica per un antiquario esser dee questa. Per ben esaminare e giudicare un antico lavoro bisogna penetrare nell’idea e nello spirito dell’artista che lo ha eseguito. Giova perciò saperne l’età e le circostanze de’ tempi, e quelle particolarmente in cui egli trovavasi, e indagare le mire ch’egli avea lavorando. Così con altr’occhio esaminar si deve un’opera privata che una pubblica,


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  1. Vi sono stati, e vi sono d’ogni nazione, che fanno gli antiquari, e ad essi ugualmente che agl’italiani era comune questo difetto, come il nostro Autore ha fatto osservare nella sua prefazione. Tristan, de la Chausse, Montfaucon, Cuper, Wright, Keisler, Spon, Adisson, Spence erano oltramontani. E chi sa se il signor Heyne rifletteva un pò meglio, e senza qualche riguardo, che non avesse posto nello stesso numero il signor conte di Caylus, le fatiche del quale meritamente esalta in appresso? Dobbiamo per altro saper buon grado a quello, agli altri scrittori, e agl’italiani principalmente, che con tanta fatica, e spese abbiano pensato a sottrarre alle ingiurie del tempo distruttore anche i pezzi di antichità più minuti, e disprezzati; illustrandoli insieme con quelle cognizioni, e gusto, che in questa, e in tante altre scienze ha dominato per ogni parte. Se non hanno gl’italiani, e i romani i primi illustrato come si doveva cogli scritti il Laocoonte, l’Apollo, e la Niobe; hanno però sempre conosciuto, che erano quelle, e tante altre statue, i capi d’opera dell’arte, che ci restavano; e come tali le hanno conservate, custodite, ammirate, imitate, ed esposte ad ammirarsi, e imitarsi ai forestieri. Al presente, oltre quello che di esse ci ha detto Winkelmann, Mengs, ed altri antiquari ed artisti oltramontani, e lo stesso signor Heyne, abbiamo una dotta dissertazione del celebre letterato monsignor Fabroni, stampata in Firenze nell’anno 1779., intorno alle statue della favola di Niobe, che da più anni adornano il museo Granducale; e speriamo con tutto il fondamento, che il più volte lodato sig. abate Giambattista Visconti per l’Apollo, ed il Laocoonte data in luce altre osservazioni interessanti per soddisfare maggiormente sì all’erudita curiosità degli antiquari, che al fino discernimento degli artisti; e qualche osservazione la faremo anche noi a suo luogo in questa storia.