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d’Omero e di Platone; e raccolta già un’immensa copia di cognizioni mitologiche, storiche, poetiche, prima eziandio di pensare all’ufo che sarebbene in seguito per formare una giusta idea de’ monumenti dell’arte, ed interpretarli. La tranquillità ch’egli godeva in una copiosa e scelta biblioteca gli diede comodo di fare una lettura estesissima non sol degli antichi, ma eziandio de’ moderni scrittori, e fornigli l'occasione d’apprendere varie lingue viventi1. La semplicità e la bella natura del paese che abitava, e le idee platoniche di cui pascea la mente, tutto serviva a dare all’anima sua una certa energia, per cui alla vista de’ bei lavori sollevavasi sopra se stesso, e cui portò nello studio delle belle arti.

Il primo passo ch’egli fece in questa carriera annunziò tosto l'uomo di genio; ma per isviluppare il germe che in se contenea, quante circostanze non vi concorsero! La galleria e ’1 museo d’antichità di Dresda, il conversare con abili artisti e intelligentissimi amatori; quindi il suo viaggio in Italia, il soggiorno a Roma, l’amicizia d’un Mengs, la dimora nella casa e nella villa d’un cardinal Albani, l’impiego di Scrittore nella Vaticana, e poi di Prefetto delle Antichità, tutto fornivagli occasioni e mezzi di far uso de


i mate-
  1. La francese, l’inglese, e l’italiana. Huber dice alla pag. XLIII., che incominciasse a studiarle per suo sollievo nei ritagli di tempo, che sopravanzava al tedioso suo magistero in Seehausen. Alcuni, che lo hanno trattato in Roma più da vicino, mi asseriscono, che della greca ne sapesse molto, della francese mediocremente, della latina, italiana, e inglese non ne penetrasse troppo la forza, e non fosse capace di farvi a dovere un piccolo componimento. A me sembra di poter rilevare dai molti suoi volumi di manoscritti nella libreria Albani, che nel greco fosse versatissimo, e si comprende anche dalle opere pubblicate; e che molto fosse avanzato nella cognizione della lingua latina, e delle dette viventi per intenderle, e scrivervi sufficientemente, e in particolare nell’italiana, che parlava pure con qualche proprietà, e franchezza, dopo essere stato molti anni in Roma. E dello scrivere opere credo vada intesa una di lui lettera al signor Ferronce dei 13. giugno 1761. tra i detti manoscritti, nella quale dice di essersi limitato alle lingue tedesca, e italiana, per avere negligentata la francese, e principalmente dopo essere stato in Roma sei anni. Una parte di tali volumi sono di passi greci, e molti sono lettere, squarci di qualche operetta abbozzata in parte, ed estratti di libri, e di cose per lui rimarchevoli scritte nelle altre lingue. Per le quali cose credo anch’io col signor Huber pag. LXXVII., che il fignor Falconet gli faccia ingiuria, dicendo, che non intendeva nè la lingua greca, nè la latina.