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298 D e l   B e l l o   c o n s i d e r a t o

indicare che il piacere in amore dev’essere accompagnato da una soave eloquenza1. Potrebbe piuttosto essere Proserpina, la quale ebbe da lui tre figlie2; o la ninfa Lara, madre dei due Lari3; o forse Acacalli figlia di Minosse, oppure Erse una delle figlie di Cecrope, la qual pure ha generati de’ figli a Mercurio. Io preferisco alle altre quest’ultima opinione, e son d’avviso che tal gruppo sia stato scoperto nello stesso luogo ove trovate furono quelle colonne che facean parte della tomba di Regilla moglie d’Erode Attico sulla via Appia, e che altre volte erano nel palazzo Farnese. Questa mia congettura acquista qualche probabilità dall’iscrizione sepolcrale, che esiste ora nella villa Borghese, della summentovata Regilla, nella quale ci dice che Erode Attico traesse l’origin sua da Cerice figlio di Mercurio e d’Erse4; e quindi penso che il gruppo fosse un ornamento della tomba suddetta. Nella villa Borghese si trova la sola statua di Mercurio, che tenga nella sinistra la borsa d’antico lavoro.

[...in Marte...]

§. 17. Marte vien generalmente rappresentato come un giovane eroe e senza barba, del che pur ci fa fede un antico scrittore5; ma un Marte, qual lo vorrebbe il signor Vatelet6, di cui ogni minima, fibra esprimesse la forza, il coraggio, il fuoco che a lui conviene, non trovasi certamente fra tutt’i lavori degli antichi. Le due più belle figure di questo dio sono una statua sedente coll’Amore ai piedi nella villa Lodovisi, ed un piccolo Marte su una delle basi de’ due bei candelabri di marmo, che erano dianzi nel palazzo Barberini7: amendue sono in età giovanile, e tranquilla n’è


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  1. Præcept. conjug. princ., oper. Tom. iI. pag. 138. C.
  2. Tzetz. Schol. Lycopkr. verf. 680.
  3. Ovid. Fast. lib. 2. vers. 599.
  4. Salmas. not. in Inscript. Herod. Att. pag. 110. seq.
  5. Justin. Mart. Orat. ad Græc. §. 3. p. 4.
  6. Art de peindre, chant 1. pag. 13.
  7. Ora nel Museo Pio-Clementino, come ho detto sopra p. 177. Il disegno di essi, colle figure annesse, può vedersi in fine del Tomo iiI. del Giornale de’ Letterati, ove è la dissertazione del signor abate Marini, di cui si è parlato loc. cit.