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254 | D e l l e A r t i d e l D i s e g n o |
ignoravasi il lusso, e tutto spirava semplicità; e gli artisti altronde sdegnavano di occuparsi in piccolezze o in lavori che servissero all’ornato de’ privati luoghi, o alla pompa e al passatempo di private persone. Milziade, Temistocle, Aristide, e Cimone alloggiati non erano più sontuosamente de’ loro vicini1, e le abitazioni de’ più ricchi e possenti cittadini distingueansi dalle altre soltanto per una corte, detta αὐλή, rinchiusa nella fabbrica, ove il padre di famiglia offerir soleva i sagrifizj2. I sepolcri consideravansi come edificj sacri; onde non è maraviglia che Nitia, celebre pittore, sia stato chiamato a dipingerne uno fuor delle mura di Tritia città dell’Acaja3. Aggiungasi che fortissima emulazione dovè nascere fra gli artisti allor quando le città studiavansì d’avere le statue più eccellenti, che quelle de’ vicini superassero4; e tutto un popolo imponeasi, a così dire, una tassa per avere una ben lavorata statua d’un dio5 o d’un vincitore ne’ pubblici giuochi6. Alcune città pur
v’eb- |
- ↑ Demosth. in Orat. De Republ. ordin. pag. 127. C.
- ↑ Plat. De Republ. lib. 1. post init. oper. Tom. iI. pag.^28. B.
- ↑ Paus. lib.7. cap. 22. pag. 580. princ.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 9. sect. 36.
- ↑ Dionys. Antiq. Rom. 1. 4. c. 15. p. 211. lin. 30. segg. [ Discorre solamente Dionisio dell'annua contribuzione imposta dal re Servio Tullio agli abitanti delle campagne di Roma per alzare degli altari nei loro distretti, e farvi sacrifizj.
- ↑ Paus. lib. 6. cap. 6. p. 465. l. 39. c. 14. pag. 487. l. 25., c. 15. p. 489. princ., cap. 18. pag. 497. princ.
L'esprit des Loix lib. 3. cap. 3., ne forma il più sicuro e sodo fondamento d’una repubblica. Le statue innalzate a coloro che aveano renduti alla patria de’ segnalati servigi, e poste ne’ più frequentati luoghi della città, erano per essi come tanti tempj di gloria. Rappresentavasi la persona in guisa che gli atteggiamenti e gli attributi ne indicassero i meriti e sovente pur vi s’aggiungeva una gloriosa iscrizione. Frequentissime furono tali statue, come rileviamo dalla testimonianza degli antichi scrittori presso Francesco Giunio de Pict. vet. l. 1. c. 8.[ e Guasco de l’Usage des stat. sec. par. ch. l. e seqq. ], le quali per publiica autorità vennero erette non solo agli eroi, ma alle virtuose donne eziandio, anzi per sino alle bestie, ove qualche insigne servigio avessero renduto: così gli Ambracioti innalzarono una statua di bronzo a quell’Asino che ragghiando aveali avvertiti de’ notturni agguati dei Molossi, Paus. lib. 10. cap. 18. pag. 840. in fine. Ognun ben sente quanta emulazione destar si dovea da questa usanza sì ne’ cittadini che alla virtù s’eccitavano, che negli artisti, i quali, come dice il signor Winkelmann, dividevano in qualche maniera con essi l’onor del monumento. Le moderne repubbliche, siccome osserva il mentovato autore dello spirito delle leggi, più che alla virtù sembrano aver destinate tali ricompense all’industria nell’estendere il commercio: per tal motivo alla Borsa di Londra si eressero statue a Gersham, a Spencer, e a Craven. Né si vuol qui omettere quell’altro vantaggio, che dall’uso delle pubbliche statue chiunque ricavar porca, d’apprenderne cioè quasi senza fatica la storia di ogni città, e de’ più celebri e distinti cittadini: la storia di Pausania è in gran parte la storia delle statue della Grecia.