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p r e s s o   i   G r e c i , ec. 243

pubblica gara di bellezza1 fra ’l sesso femminile 2. Chi sa che, nel proporre de’premj per la beltà, non mirassero i Greci a promovere una propagazione di bella prosapia? Leggiamo in Oppiano3 che le donne spartane, per generare de’ bei fanciulli, soleano collocarsi in faccia al letto le immagini di Nireo, di Narciso, di Giacinto, o di Castore e di Polluce. Poichè adunque la bellezza desiderata era e pregiata da’ Greci, chiunque si sarà conosciuto bello, avrà cercato per mezzo di questa prerogativa di farsi noto alla propria nazione, e di farsi principalmente ammirare dagli artisti, i quali perciò, come giudici nella distribuzione del premio della beltà, aver doveano frequentemente innanzi agli occhi le più belle sembianze. Era la bellezza eziandio un merito per acquistar fama4; e troviamo diffatti nelle greche storie rammemorate le più belle persone5. Alcuni pur vi furono, che avendo superiormente bella una qualche parte delle loro sembianze, ne riportarono un soprannome particolare, come Demetrio Falereo, che per la bellezza delle sue ciglia fu chiamato χαριτοβλέφαρος, cioè colui sulle cui ciglia abitano le Grazie6. Se possiamo dar fede a Dione Grisostomo, quando scrive che a’ tempi suoi, e sotto l’impero di Trajano, non faceasi più molto conto della bellezza, anzi nemmeno sapeasi ben apprezzare7, dobbiamo riconoscere in


H h ij que-


  1. Detta τὰ καλλιστεῖα.
  2. E fra il virile si teneva in Elide. Ateneo loc. cit.
  3. Cyneg. lib. 1. vers. 357.
  4. La meretrice Frine per la sua bellezza fu assoluta in Atene dalla pena di morte. Ateneo lib. 13. cap. 6. pag. 590. E.
  5. Paus. lib. 6. cap. 3. pag. 457. [ Pausania in questo luogo parla di molti fanciulli vincitori nei giuochi, ai quali furono erette delle statue; ma di uno solo rileva che era bellissimo.
  6. Diog. Laert. lib. 5. segm. 85. in ejus vita, Tom. I. pag. 307., Ath. Deipnos. lib. 13. cap.7. pag. 593. E. [ Ateneo dice, che così si chiamava una meretrice amata da Demetrio Falereo, prima che questi la chiamasse Lampeto. Casaubono al luogo citato di Laerzio, e in margine di Ateneo per accordare questi due scrittori, ha corretto l’ultimo, facendogli dire, che Demetrio chiamò sè stesso χαριτοβλέφαρος. Ma con ciò neppur toglie tutta la contradizione, mentre Laerzio scrive che fu chiamato così dalla meretrice; e il senso non corre perfettamente in Ateneo. Sosterrei dunque più volentieri questo scrittore; e crederei che avesse equivocato l’altro nella scrivere.
  7. Orat. 21. pag. 696.