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[... maniera di lavorarlo...] vero come opere dei tempi de’ Cesari, conciosiachè esse rappresentino per lo più de’ re prigionieri, le statue de’ quali soleansi collocare per ornamento su gli archi trionfali o su altri pubblici edificj1.

§. 16. Il porfido a cagion della somma sua durezza non lavorasi, come il marmo, collo scarpello o con altro stromento tagliente, ma bensì con punte d’acciajo ben aguzze, a forti colpi di pesante martello, a ognun de’ quali saltano scintille di fuoco, e l’opera avanza lentissimamente. Richiedesi un anno almeno a scolpir una statua vestita, e quando pur alla fine, dopo aver rotte e rintuzzate innumerevoli punte, si è data così all’ingrosso una certa forma a ciò che in essa v’ha d’incavato o di rilevato, resta che si termini e si pulisca collo smeriglio, per la qual operazione un altr’anno intero forse non basta, non potendo più artisti lavorare insieme sulla medesima statua. Dee per tanto parerci strano come siansi trovati artefici greci atti a sì penoso e lento lavoro, i quali imprendessero un’opera propria ad opprimere lo spirito e stancar la mano, senza che l’occhio compiacer si potesse almeno a vederne il progresso. E perchè ciò meglio comprendasi, descriverò qui la maniera con cui si lavora il porfido. Se gli dà la prima mano con alcuni lunghi e duri paletti di ferro, che finiscono in punta quadrangolare, chiamati subbie, con cui si vanno staccando dal sasso scheggiuzze pressochè impercettibili. Fatto il primo sbozzo si adoperano pesanti stromenti a foggia di martelli aguzzati dai due lati per incavare ove abbisogna; e questo si finisce poi e si perfeziona con altri martelli di simile forma, se non che, in vece di essere appuntati, sono taglienti; con questi l’opera si riduce a segno che nulla più man-


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  1. Nel museo de’ signori Nani a Venezia si conserva una mezza statua dai lombi in su, ma senza braccia, rappresentante un sacerdote colla cuffia in capo, dell’altezza di palmi romani 3. e tre quarti, e che pare lavoro egiziano dal disegno che ne ho veduto.