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22 | O r i g i n e d e l l e A r t i |
popoli barbari1. Forse da siffatta dipintura è venuto a Cerere il soprannome di φοινικόπεζα2, cioè rossi-peda.
[..modelli..] §. 3. L’argilla, allora eziandio che l’arte era nel suo più bel fiore, e ne’ tempi posteriori, continuò ad essere la materia principale degli artisti, sì pe’ bassirilievi, che pei vasi dipinti. Quelli non solo adoperavansi nei fregi de’ tempj3, ma servivano ancora per modelli, e questi col mezzo delle forme o matrici moltiplicarsi agevolmente potevano. Fanno di ciò fede i moltissimi pezzi che ci restano rappresentanti una medesima cosa, e simili fra di loro. A tali figure cavate dalla forma dava l’artefice l’ultima mano collo stecco, come scorgesi al sol vederle; que’ modelli pendevano per lo più infilati in una corda nello studio dell’artista; indi è che alcuni hanno un pertugio nel mezzo4.
§. 4. Ne’ lavori d’argilla gli antichi maestri sovente facean mostra di tutta la loro abilità, come nelle opere più durevoli di marmo e di bronzo; anzi quelle esposero agli occhi del pubblico, anche per alcuni anni dopo la morte di
Ales- |
- ↑ Fra gli Etiopi, al dire di Plinio l. 33. c. 7. sect. 36., non solo si colorivano col minio i simulacri delle divinità, ma se ne colorivano anche i magnati. Gli Egizj lo usavano talvolta anche per qualche loro idolo, come si vede in una pittura del Museo d’Ercolano Tom. IV. tav. 52., e come ivi osservano gli Editori pag. 253. num. 8.; e alcuni se ne conservano nel lodato museo Borgiano. In Roma l’uso di colorire le statue degli dei si manteneva ancora ai tempi di Arnobio, come rileviamo dal suo libro Adv. Gentes l. 6. p. 196., e Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 43. ne attribuisce l'invenzione a Dibutade, che soleva anche impastare la creta col color rosso. In appresso fu introdotto, come osserva lo stesso scrittore lib. 33. cap. 7. sect. 36., e Tzetze Chiliad. 13. hist. 461. v. 43., di dipingere così il corpo di quei che trionfavano; in quel modo, che fin dal tempo d’Omero fra li Greci se ne dipingeva la prora di qualche nave. Iliad. lib. 2 e num. nav. v. 144. Si usava anche dagli antichi, principalmente dagli Egiziani, d’inverniciare bene le statue di creta per modo, che rassomigliavano ai lavori di porcellana d’oggidì, e prendevano in tal maniera più consistenza. Di tali lavori egiziani se ne veggono nei musei, come osserva Guasco De l’usage des stat. chap. XI. p. 130.; e cosi è la piccola figura, che noi daremo in appresso.
- ↑ Pind. Ol. 6. Antistr. 5. v. 4. [Noi vedremo in appresso, che questo epiteto dato da Pindaro a Cerere si potrà spiegare anche in altro senso.
- ↑ Plin. lib. 35. c. 12. sect. 43. e 46.
- ↑ In un di questi fregi rappresentante una donna, che sostiene la cista mistica, presso il signor abate Visconti Presidente delle antichità di Roma, si vedono tre buchi, ai quali dovea corrispondere il quarto, che non si vede per essere il pezzo alquanto mutilato. Tal numero indica manifestamente, siccome lo fa vedere anche la forma del buco, che erano stati fatti per fissare i bassi-rilievi coi chiodi nel porli in opera alla parete. E chi mai potrà persuadersi che pezzi di terra così pesanti si tenessero infilati alle corde nello studio dell’artista?