Pagina:Storia della vita e del pontificato di Pio VII.pdf/314

62 VITA DI PIO VII

veano concedersi alla secolare autorità privilegi e prerogative, che tutta manomettevano la ecclesiastica disciplina. Arduo era il cimento, qualunque fosse la risoluzione rischiosa. Stavansi i cardinali lontani da Roma, ove i documenti, le memorie serbate nei nostri pubblici e privati archivi offrono sempre ricca messe agli studi, spesso la occasione di decidere sull'appoggio di vecchi esempi. Non era dato ad essi il giovarsi del consiglio dei teologi, dei canonisti, dei consultori delle congregazioni romane quà e là dispersi dal turbine politico, ch'era passato su Roma e avea tutti gli ordini sconvolti di quella organizzazione mirabile, per la quale il clero e gli ordini monastici portano tutti alla santa sede il tributo della loro dottrina: edificio sublime, che Napoleone istesso non dubitò di chiamare il capo d'opera della prudenza. Sorvegliati, temuti era impossibile ad essi o almeno pericoloso l'adunarsi, e il discuter fra loro, perchè nell'animo dei ministri dell'imperatore avrebbero suscitata l'idea di una congregazione cardinalizia che dovea assolutamente evitarsi. Avvisarono pertanto ai mezzi di consultarsi a vicenda senza destane nell'animo di quelli, che esercitavano severa sorveglianza su loro, la diffidenza e il sospetto Ora al passeggio, or nelle stanze del cardinal Pignatelli, che giacea infermo incontravansi, proponevano dubbi, deliberavano Videsi il sacro collegio diviso in varie sentenze. Agli uni parea, ed eran questi i più timidi, doversi migliorare le condizioni del trattato, aggiungere ad esso qualche articolo favorevole alla santa sede: ad ottenerlo proponevano la discussione con i deputati dell'imperatore. Voleano gli altri, e questi erano i più animosi, ritrattazione pronta, energica, generale: questo diceano unico riparo allo scandalo dato al mondo cattolico, unico mezzo per rimovere i gravi mali, che gli articoli del concordato poteano recare alla chiesa A sostegno della loro opinione adducevano essi l'esempio di Pasquale II, che avendo ceduto alle violenze di Enrico V non dubitò nel concilio lateranense da lui ordinato, confessare il suo fallo, e ritrattare con cristiana franchezza quelle concessioni, che una sacrilega violenza avea-