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20 VITA DI PIO VII

avea il popolo di Roma un sacro diritto su quanti sono monumenti che riveggono la luce del giorno: e un prodotto intrinsecamente annesso al classico suolo di Roma, è il retaggio ottenuto dalle vittorie del popolo re. Non possono i cittadini pertanto, non può l’istesso sovrano alienare tanta dovizia di arte. Ho pagato, aggiungea Napoleone, quattordici milioni le statue di Borghese. Alla domanda se poteasi con poca somma ottener molto negli scavi da

praticarsi, rispondea affermativamente Canova1. E quando il giorno quindici ottobre fu l'artista ammesso di nuovo all'imperiale presenza, questi faceasi a domandargli qual fosse l’aria di Roma e se era anche insalubre nei tempi antichi. Citavasi Tacito, dicevasi che i soldati di Vitellio caddero infermi, perchè dormirono all'aria aperta sul vaticano: non seppero però l'imperatore e l'artista riscontrare sul libro il passo2. Profittava di quell’incidente Canova destramente per dirgli, che pesavano su Roma sventure di gran lunga maggiori. Ha perduto il sovrano, quaranta principi di santa chiesà furono allontanati da essa: i ministri delle potenze cattoliche, oltre duecento prelati e moltissimi ecclesiastici esularono dalla città. Sire, la vostra gloria mi permetta parlarvi liberamente. Roma un giorno ricca e potente, geme oggi nella miseria. Diceagli l’invincibile soldato, che avea un grande impero, sessanta milio-

  1. Si parlò della statua colossale di Napoleone commessa allo scultore di Possagno. Dispiacquegli di sapere che dessa era ignuda. E perchè, dicea, non potrà essere ignuda anche la mia statua colossale a cavallo? Rispondeagli che dovea questa essere modellata nel costume eroico. Tali sono quelle degli antichi re della Francia; tale, o signora, volgendosi all’imperatrice, è quella di Giuseppe II in Vienna. Il nome dei vecchi re francesi e del fratello dell’avo di Maria Luisa sulle labbra di Napoleone chiamò un’altra volta il sorriso.
  2. Più tardi Antonio Canova, ritornato in sua casa, prese a studiare sull'opera di Tacito: rinvenne il passo e si diede il grazioso pensiero di mandare il libro all'imperatore « ne salutis quidem cura ; infamibus vaticanii locis magna pars tetendit: unde crebrae in vulgus mortes.» Tacit, Hist. lib. 2. cap. 93.