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208 VITA DI PIO VII

le maschere, i festini, le corse. Una notificazione sottoscritta dal segretario di stato con gravi parole manifestava al popolo che mentre il padre gemeva nelle afflizioni non doveano i figli dar segni di esultanza, ma bensì di dolore. Tanto bastava ai romani. Non conobbe Miollis l'indole di un popolo che sente profondamente la sua dignità. Avvicinavansi i giorni carnevaleschi e non vedevansi giusta il costume lungo la via del corso eretti i soliti palchi. Invitati gli artisti a costruirli, si rifiutavano: obbligati, obbedivano. Quando si volle soddisfare il prezzo del loro travaglio, ricusavansi dal riceverlo, dicendo "i forzati non si pagano". A forza sì estrassero i palî dalle aule capitoline: a forza si ebbero i carrettieri che doveano portare il legname sul luogo: si fece persino violenza agli ebrei che rifiutavansi dal somministrare gli arazzi, onde si adornano le tribune destinate ai giudici della corsa. E quando s'intese battere l’ora, in cui i romani erano soliti di travolgersi lieti lungo le vie del corso, vidersi i negozianti serrar le botteghe, allontanarsi dal luogo. Le fenestre erano chiuse, deserta era la via. Una sola carrozza comparve al corso: quella del bargello, seguìta dalla sbirraglia. Questi fatti passati in dominio della storia faranno la meraviglia dei posteri. Coloro stessi che aveano consigliato Miollis a permettere le maschere, che pure erano conosciuti e segnati a dito, non osarono avventurarsi sulla pubblica via: quei pochi cittadini che furon visti non erano che inviati dal governo pontificio con l’incarico di riferire ciò che accadeva. Questo eloquente silenzio versò lo stupore nell’animo dei francesi e sparse una qualche stilla di consolazione nel cuore addolorato del santo padre. Miollis valutò le proteste del popolo e prese il partito suggeritogli dalla prudenza: contromandò le feste carnevalesche. E più grave ragione di umiliarsi innanzi al coraggio e alla costanza di Roma l’ebbe egli quando il venerdì venti gennaro prescelse per dare una festa di ballo. Le sale del palazzo Doria bellissime e riccamente adornate, si videro affatto deserte. La moglie di qualche officiale Francese, pochi stranieri invitati dal generale, aggiravansi per quelle vaste aule che aperte da insulto villano dovevano essere chiuse