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Ansaldi, tenente colonnello di Savoja, assume il comando della fortezza, compone una giunta provvisoria dei cittadini Urbano Ratazzi, Appiano, Dossena, Luzzi, e degli ufficiali Palma, Baronis e Bianco *, e
* Carlo Bianco, è uno di quegli illustri che più meritarono della patria italiana; perciò crediamo a proposito di riportare qui la biografia di esso, quale si legge nell’Apostolato Popolare (N. 11, 31 agosto 1843).
« L’emigrazione italiana ha perduto un de’ migliori cittadini che gli ultimi cinquant’anni abbian dato all’Italia. Il 4 maggio di quest’anno, Carlo Bianco, nato in una terra piemontese non lontana da Torino, morì in Bruxelles, suicida. Fu l’unica colpa della sua vita; e da quanti dolori, da quante delusioni e amarezze senza conforto ei vi fosse trascinato, Dio solo lo sa: l’indole dell’anima ch’egli avea posto in lui era di non comune fortezza, affinata da lunghe sciagure, e il peso d’angoscia che la prostrò deve essere stato insolitamente grave.
« Carlo Bianco, nato di famiglia patrizia ed agiata, entrò giovine nella milizia. S’accostava il 1821, e gli animi in fermento s’affratellavano nella vasta Associazione de’ Carbonari in cerca d’un intento mal definito e procacciato con mezzi timidi, inefficaci, ma nazionali. Bianco entrò nelle file e con idee che per istinto di cuore e logica di mente erano innanzi d’assai a quelle dei capi: nè allora egli, nuovo d’anni e d’influenza, potè fare che prevalessero, ma le rappresentò con onore nei lavori e nei tentativi che vennero dopo. L’insurrezione lo trovò tenente nei dragoni del re. Stimato e amato dai soldati, primo fra quelli che iniziarono il moto in Alessandria, Bianco meritò menzione specialmente onorevole dallo storico della Rivoluzione Piemontese, Santarosa, e l’avrebbe meritata dalla nazione, se i vizj ch’erano alla base dell’edifizio non l’avessero rovinato nel giro di poche settimane. Bianco, condannato a morte, partì cogli altri per la Spagna, dove la costituzione durava: vi combattè valorosamente per la libertà contro le bande che infestavano, in nome del re assoluto, la Catalogna, e crebbe onore a quel pugno d’Italiani che guidati da Pachiarotti e da Ollini cacciarono fra la Spagna e l’Italia germi di simpatia e di fiducia che un dì frutteranno: poi, quando i tradimenti e l’armi francesi spensero anche quella favilla d’indipendenza, sostenne in Malaga i tormenti di una lunga prigionia che gli rovinò la salute. Appena libero trapassò in Grecia, d’onde, finita la guerra, si ridusse in Malta, e vi soggiornò fino al 1830, quando le speranze ravvivate d’Italia lo