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di certi suoi beni vincolati ad una sostituzione. La sua posizione sociale, la nobiltà dell’animo e le altre doti personali suggerivanlo per capo partito, da meritare tanto più la confidenza dei liberali italiani, in quanto che spoglio affatto da qualunque vestigio di quello spirito aristocratico, cagione di tanta apprensione. Ma sventuratamente non potè esserlo, ed io ho sempre considerato gran danno della patria la sua assenza dal Piemonte durante l’inverno del 1821, e l’essere stato imprigionato al momento in cui vi si restituiva.
Cotali arresti furono per i liberali il segnale di raccorre lor forze e di pensare ad adoperarle senza ritardo. L’armata Austriaca procedeva nella marcia, nè poteva tornando addietro esserci sopra prima che noi fossimo pronti a riceverla. Era d’altronde di mestieri incoraggiare i Napoletani, dopo i primi loro combattimenti, facendo loro conoscere che aveano acquistato degli alleati all’altra estremità d’Italia. Certuni opinavano, è vero, che noi avremmo dovuto attender l’esito di quei combattimenti, ma dissentivano i capi della cospirazione, temendo non si potessero raffreddar gli animi dei Piemontesi, qualora quei scontri, benchè di poca importanza, riuscissero sfavorevoli ai Napoletani.
Ma se la congiura avea diversi capi, d’un supremo però mancava: ricercando pertanto di un uomo che all’alto incarico valesse, i nostri sguardi s’arrestarono naturalmente sul luogo-tenente generale Gifflenga ispettore di cavalleria, noto all’armata piemontese ed all’ex-armata italiana per le luminose prove d’in-