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catastrofe. Giustizia vuole se ne escluda il conte Balbo, che per la dolcezza opinava, e fu solo per l’alta sua fama di probità, superiore ad ogni accusa, ad ogni sospetto, se durò illeso il suo nome dopo sì fatale avvenimento.

Giova ritenere che quell’attruppamento componevasi tutto al più di due o tre centinaia di studenti che toccavano invero l’estremo grado di esaltazione. Aggiravansi forsennati sotto le interne volte dell’università, gridando: «vogliamo i nostri compagni, li vogliamo ad ogni costo» stringevansi convulsi le mani, s’abbracciavano, giuravansi l’un l’altro di vivere e di morire insieme; ma fra tanto delirare, non un grido di rivoluzione fu alzato, e la parola costituzione già da gran tempo così universalmente ripetuta, non fu neppur pronunciata. Erano fanciulli esacerbati per una ingiustizia e nulla più.

I granatieri arrivarono a 7 ore di sera; aveano alla testa il cav. Ignazio Thaon di Revel, conte di Pratolongo, governator di Torino. Parecchi ufficiali di differenti reggimenti e qualcheduno delle guardie del corpo aveano seguito il governatore per un moto spontaneo, che si sarebbe potuto meritare il nome di zelo, se la posteriore condotta della maggior parte di essi non l’avesse ben altrimenti caratterizzato. Il conte di Castelborgo, comandante della provincia, si fece ad arringar gli studenti. Questi scagliarono, egli è vero, qualche pietra contro i soldati, ma egli è vero altresì che non fu loro dato neanco il tempo d’intendere l’intimazione di sciogliersi, e se molti fremevano prevedendo la sanguinosa scena che stava