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piemontese la linea dei suoi doveri. Un proclama stampato a tal uopo si sparse in tutte le guarnigioni del Piemonte e con tanta prestezza, che dovette far conoscere al governo gli amici della libertà esser molti ed attivi.

Frattanto il Parlamento Napoletano avendo con calore respinto il messaggio del re che accennava a nuova costituzione sulle basi della carta Francese e mantenuta quasi intatta la costituzione spagnuola, i liberali piemontesi videro la necessità di rannodarsi in gran numero sotto quella stessa costituzione cui giuravan difendere 5 milioni d’Italiani e l’Imperatore d’Austria giurava di abbattere1. Avrebbero temuto di tradire uno de’ più sacri doveri verso la patria, se per soverchia tenacità di lor politiche teorie, le avessero offerto il miserando esempio di liberali italiani divisi in partiti, nel supremo bisogno di concordia e d’unione a salvarla.

Ve n’erano però alcuni che non aveano abbandonato la speranza d’introdurre in Piemonte una costituzione più monarchica, ma alla notizia che gli Austriaci aveano passato il Po, deposto ogni altro pensiero accorsero tutti sotto la stessa bandiera.

  1. Coloro che scrissero sulla nostra rivoluzione studiaronsi ripetere, avervi la nobiltà piemontese preso parte, adescata dalla dignità ereditaria di pari. Questa trivialissima accusa poggia interamente sul falso; avvegnacchè tutti i membri della nobiltà che alla rivoluzione cooperarono, appartenevano piuttosto al partito della costituzione spagnuola. Che se taluni, come già dissi, non staccaronsi che per ubbidire alle circostanze dal sistema di parlamento inglese, costoro erano appunto quelli ai quali la loro posizione sociale toglieva di aspirare a suddetta carica; e fra questi potrebbe annoverarsi a mo’ d’esempio il conte di Santa Rosa cui, a divenir pari, mancavano natali e fortune.