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iscusabile che si ravvisasse, moltissimi, anche mal soffrenti del giogo, non assentivano, temendo di recar afflizione al cuore del re, e straziati tra il disgusto di non poterlo disingannare e la ripugnanza a violentarlo con moti rivoluzionarii, avrebbero ancora penato gran tempo in quella spinosa incertezza, se imponenti considerazioni di politica esterna non avessero rimosso ogni dubbio, e nettamente segnato la via a battersi per adempiere ad un tempo i nostri doveri verso il trono e verso la patria.
Il modo con cui gli alleati aveano nel congresso di Vienna disposto dell’Italia, ben lungi dall’accrescere realmente la possanza della casa di Savoia, le avea tolto al contrario ogni influenza sugli affari della Penisola, non lasciandole alcun posto nel sistema europeo. Ed infatti, prima della rivoluzione francese, il re di Sardegna, sia per la posizione dei suoi Stati che
mità, si arretrano al pensiero d’impiegare la forza per strappare al principe leggi costituzionali. Ma, di grazia, o meticolosi cittadini, di qual mezzo i nostri principi si sono eglino serviti per imporre tasse, invece di chieder de’ sussidii agli stati generali di Savoja; con qual mezzo hanno rovesciato di un colpo, o distrutto brano a brano tutti i privilegi delle principali città del Piemonte? Queste città non li riconoscevano altrimenti dalla benevolenza, o dalla politica della casa regnante; elleno si erano spontaneamente date ai principi di Savoia a condizioni da loro formalmente accettate e giurate; scorse poche generazioni, la spada del nipote stracciò la carta segnata dall’avo. E se qualche città ha osato reclamare i suoi diritti, si ebbe in risposta baionette e patiboli. Mondovì ne offrì un tristo esempio al cominciare del 18° secolo. Ebbene, queste carte annientate, e questi stati generali aboliti, noi li abbiamo ridimandati nel 1821. La forza li ha rapiti a’ nostri padri, la forza ne esige oggigiorno l’equivalente nelle instituzioni più confacienti allo stato attuale della società e meglio guarentite contro l’abuso del potere.