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getti sopra progetti, ma in nulla si era progredito. Il re però, per un istinto innato in quei di sua casa, conosceva meglio di ogni altro la situazione politica del suo paese, egli sentiva il bisogno di una forte armata, ed era provido divisamento, effettuabile senz’opprimere i popoli e senza che ne soffrisse il rimanente della pubblica amministrazione. Rigorose riforme sarebbersi dovute adottare negli stati maggiori, ed in altri corpi dispendiosissimi, ma non lo si poteva senza che ne avessero a provare una scossa le potenti e numerose schiere di cortigiani, e che fossero toccati sul vivo gl’interessi di molte famiglie di favoriti; ed il re non era nè perspicace abbastanza per penetrare oltre l’officiosa apparenza, onde certi servitori del trono con arte mascheravano le loro mire personali, nè fermo per rigettare le sollecitazioni di coloro dai quali credeva essere amato.
Egli avea fatto troppo o troppo poco per la sua armata. Il marchese di San Marsano, ministro della guerra, aveva organizzato l’infanteria con lodevole sistema, che criticato, difeso, contrastato, modificato, erasi in ultimo mantenuto, ma senza basarsi su quelle instituzioni atte a diminuirne gl’inconvenienti, che se erano eminentemente nello spirito dei regnanti di Savoia, ora però trovavansi diametralmente opposte alle massime della polizia, la quale, simile in ciò a tutte le polizie dell’universo, s’allarmava, ed infuriava all’idea di tutto, che generoso e popolare appalesavasi. Il metodo della coscrizione copiato fedelmente da quello di Buonaparte, inflessibile ma giusto, offriva grandi risorse. Molto erasi profuso