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regno di Carlo Emmanuele III, niuno si dava briga di togliere a modello quella minuziosa e stretta economia, secreto della prosperità di sua amministrazione. Nè si creda tampoco che tanto dispendio ognor maggiore ridondasse a benefizio della massa della nazione. Il solo ramo di pubblica spesa per cui l’interesse della società richiedeva non si badasse a misura, si era quello invece in cui i pregiudizii mantenevano con più tenacità e successo l’antico ordine di cose1. I magistrati rigettavano sdegnosi ogni sorta di progresso. Maggiore pieghevolezza nell’esercizio del diritto d’interinare i regii editti e patenti2 distin-

  1. E qui sarebbe caduto in acconcio, delineare un quadro dell’amministrazione della giustizia civile e criminale in Piemonte: far vedere le contestazioni giudicate da un solo nei tribunali di molte Provincie; i magistrati che ritraggono il lucro dagli emolumenti delle cause, soggetti sempre alla tentazione di prolungarle e complicarle; un povero giudice di ultima categoria costretto a coltivare un processo non altrimenti di un podere per ricavarne di che far bollire la sua pentola: il senato di Torino, oppresso dagli affari, abbandonare all’arbitrio ed alle mire del relatore l’ammessione degli appelli; le pratiche criminali perchè d’incerto o niun profitto, scandalosamente neglette o proseguite con imperdonabile leggerezza dai primi giudici che ne aveano formato l’instruttoria; quindi le prigioni zeppe, gli interessi dell’innocenza tuttodì minacciati, lo sventurato prevenuto di un delitto capitale, passare dall’oscurità del carcere al patibolo, senza aver potuto far sentire sua voce in dibattimento pubblico e solenne... Ma si richiederebbe la penna di scrittore più esperto in simili materie per tutti sviluppare gli esecrabili abusi che avvelenano ogni sorgente di morale e pubblica felicità in Piemonte.
  2. Questo diritto d’interinazione era un freno senz’altro alla pericolosa attività di un governo arbitrario; ma non si creda che offrisse, come nei parlamenti di Francia, una specie di garanzia costituzionale, che sebben difettosa e censurata, manteneva nello stato un’abitudine di legale resistenza agli abusi dell’autorità regia. I nostri senati, composti di membri nominati dal re, ed amovibili a suo piacimento, erano ben lontani dall’avere quella fermezza, e quello spirito d’indipendenza dei magistrati dell’antica monarchia francese.