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azione prontamente, senza che vi osti il ritardo delle forme giudiziali. E non fu altrimenti, che noi vedemmo in sulle prime, sotto il nome di reali carabinieri, dei soldati di polizia esercenti un potere inquisitoriale, e poscia un ministero di polizia, che si fea puntello d’un numero sterminato d’inspettori, sotto inspettori, commissarii, formanti nello Stato una possente gerarchia; la quale messa in movimento da un solo capo, disponeva a talento degli agenti della pubblica forza, ed i sindaci dei communi eletti dal governo doveano ben spesso sopportarne i capricci1. Ad accrescere il danno si faceano innanzi in Piemonte uomini usciti dai ranghi dell’amministrazione francese, aventi il vezzo d’introdurne le forme e le usanze nella nostra vecchia macchina di governo. Da qui in ciascun ministero, in ciascun uffizio due partiti che mai intendendosi distruggeano l’un l’altro l’opera loro. In tal guisa le spese dello stato, pel moltiplicarsi degl’impieghi e pell’aumentarsi de’ stipendii, crescevano in modo spaventoso, e nel mentre non si ristava dal parlare del

  1. È da ritenersi che qualunque ufficiale di polizia poteva far arbitrariamente arrestare chicchessia; e le vittime venivano sottratte alla giustizia ordinaria, con decreto del re che dichiarava si sarebbe proceduto e statuito sulla lor sorte in via economica. Fummo testimonii di cotali atti di autorità, o meglio di violenza che non ci regge l’animo a raccontarli, ed il governo o li tollerava, o puniva con scandalosa leggerezza. La città di Nizza ne ricorderà lungo tempo. Del resto fa d’uopo confessare che gli arresti non erano tanto frequenti, quanto si poteva temere da un tale sistema, e ciò si deve primieramente alla bontà naturale del re, ed in secondo luogo all’animo non abbastanza cattivo del favorito e del ministro di polizia. Ma non è per questo men vero che qualunque piemontese era soggetto a vedersi rinchiudere in una prigione o fortezza, senza formalità di giudizio per rimanervi a capriccio del governo.