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cese non sia instituzione politica abbastanza tutelare. Degno monumento della saggezza di Luigi XVIII, desidero ch’ella assicuri colla sua lunga durata a questo re legislatore la riconoscenza di molte generazioni francesi. Fui tentato soltanto di ricordare coll’esempio, agli spiriti imparziali ed a quei tali che non hanno ancora modificato loro opinione sugl’interessi di partito, che la Carta la quale per essere una costituzione completa abbisognerebbe di più leggi organiche, sarebbe desiderabile che acquistasse con esse uno spirito più consentaneo ai principii democratici, i soli che possano mantenere la pubblica libertà.
Ma ritorno alla Sicilia, a questo suolo prediletto dalla natura, che sotto quella costituzione che la nobiltà siciliana aveva nel suo patriotismo innalzato sulle feudali rovine, avrebbe veduto risplendere il sole dei suoi giorni migliori. Ma speranze, avvenire, tutto disparve, non restò che l’assoluta monarchia, il regno dell’arbitrio nel suo squallido deforme aspetto. Eppure nella Costituzione Siciliana non v’era cosa che potesse dar ombra od allarmare, per gl’interessi del trono; non accennava tampoco farsi strada ad altro sistema politico, ad altro stato sociale. La sanzione reale illimitata, il diritto di sciogliere il Parlamento, una Camera ereditaria, offrivano al potere guarentigie abbastanza rassicuranti; ma bastava a Ferdinando il trovare nella Costituzione un ostacolo a sua voglia di disporre a capriccio delle persone e delle cose dei suoi sudditi. Nulla valse a rattenerlo: gli obblighi solenni contratti verso l’antica Costituzione