Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/19

 
 
XIX


levare l’assedio. Dapprima minacciarono l’isola di Sfacteria, che è a bocca del porto e lo domina. La difendevano mille Greci con quindici pezzi d’artiglieria. La sera del 7 maggio vi furono mandati cento soldati in rinforzo, e il Santarosa era con questi. La mattina del dì 8 parlando col Grasset, segretario di Maurocordato, gli disse che era andato nell’isola perchè stimava che dalla difesa di essa dipendesse la salute della fortezza: ma aggiunse, che i disordini dell’armata greca non gli permettevano di sperare nulla di bene. Allora l’altro soggiunse: Venite alla batteria con noi. E il Santarosa: No, io resterò qui, voglio vedere i Turchi più da vicino. Queste furono le sue estreme parole raccolte da amiche orecchie. Poco appresso l’isola era assalita gagliardamente, e dopo un’ora di combattimento cadeva in mano dei Turchi. Alcuni dei difensori si salvarono nelle navi del porto: ma il Santarosa non era tra questi. È noto come il presidio di Navarrino, straziato dalla fame e dalla sete, dopo belle prove di valore si arrese al nemico. Il Collegno, che si era distinto in quella difesa come capo delle artiglierie, ne uscì libero il 16 maggio. Suo primo pensiero fu di ricercare l’amico tra i prigionieri e con grande dolore sentì che più non era tra i vivi. Ne ricercò allora il cadavere per rendergli gli estremi ufficii: ma fu vano anche questo sforzo del pio desiderio.

L’Amico della Legge, giornale di Napoli di Romania, dopo aver narrato la battaglia di Navarrino, così si esprimeva sul conto del Santarosa. “L’amico zelante del Greci, il conte di Santarosa è caduto da valoroso in questa battaglia. La Grecia perde in lui un amico sincero della sua indipendenza e un ufficiale sperimentato che con le sue cognizioni e con la sua attività le sarebbe stato di gran vantaggio nella lotta presente.