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turale antipatia per gli Italiani dopo che non gli riuscì far gustare a Milano, a Verona, o a Venezia la beata stupidità della Carinzia o della Stiria1.

Per prediletto che si abbia l’imperatore Francesco, non si può non ammettere la superiorità di Alessandro. Come dunque riuscì al primo trarsi dietro quest’ultimo? Celate mire ambiziose non conducono certo Alessandro a tale sacrifizio; egli ha un cuore troppo elevato per non essere che un ambizioso. Il saggio giovine che avea così bene compreso i bisogni della società, non può esser mosso che da altre considerazioni di lui più degne, ma Alessandro è ingannato. Gli si pose dinnanzi la forza delle società secrete, gli si mostrarono pronte a realizzare un sognato sconvolgimento sociale. Ah! se coloro che primi alzarono codesto grido di paura esaminassero lo stato della società per rintracciarvi ciò che v’ha realmente, non quello che vogliono scorgervi, non tarderebbero a convincersi, come a tali congreghe segrete, ove esistano, dal difetto appunto di liberali instituzioni derivi forza e possanza. Che dove le anzidette instituzioni fioriscono, gli uomini eruditi vi si affezionano, le diffendono, l’attenzione universale si fissa su di questioni positive, le immaginazioni riscaldate si calmano, ed i perturbatori perdono quel punto d’appoggio che loro viene appunto fornito dall’assoluta monarchia. Dal giorno in cui promulgherassi uno Statuto, dal giorno in cui si ergerà una tribuna, dal

  1. L’imperatore, nell’ultimo suo viaggio a Roma, ha dovuto persuadersi che tutte le città Italiane sono assai d’accordo sui sentimenti che deggiono inspirar loro i Cesari di Allemagna.