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pur troppo; ma badino, l’Italia è conquistata non sottomessa. E d’altronde qual era egli mai lo stato suo anteriore al 1820? Non era ella di già fatta serva dell’imperatore, cui le due corti di Napoli e Torino avean dato lor fede di non accordare ai popoli benefiche, liberali instituzioni? Le ultime nostre peripezie non resero adunque che più semplice la nostra condizione, più diretta la servitù, misero in luce nostre catene. O Italiani! si sorreggano con dignità queste catene, non si squassino inopportunatamente, resti libero il cuore.
O giovani dello sventurato mio paese! Egli è in voi che rinascono sue speranze. In voi che all’uscire dai collegi, dalle case paterne, ovunque volgerete lo sguardo, non vi sarà fatto di scorgere, che stranieri insultanti; non avrete dinanzi che un avvenire senza gloria, senza onore; non un bene che vi appartenga, non una gioia che non vi possa essere avvelenata dall’ingiustizia, dal disprezzo de’ vostri padroni, o peggio ancora, dei loro satelliti. Sì, o gioventù d’Italia, ti disprezzano, sperano che una vita molle ed oziosa varrà a snervare tuo intelletto, che ardore e coraggio ti staran solo sul labbro. Lo pensano, lo dicono i tiranni, e sogghignano ogniqualvolta su te arrestano l’infernale loro sguardo. Ne dubiti forse? Valica le Alpi, ovunque tu volga il piede apprenderai ben tosto, come sul tuo conto la pensino i nemici di libertà, che cosa da te ne aspettino gli amici1.
- ↑ In ogni parte d’Europa i nemici delle liberali instituzioni, non amano a sentir parlare della gioventù, e noi rimbrottano di eccitarne le passioni, e di educarla alla perturbazione, al disordine. Certamente,