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della giunta, si ritirarono; rimasero i decurioni ed applaudirono alla presa determinazione di ritenere le redini del governo finchè nuovi ordini del re o del reggente non pervenissero (Vedi. Doc. O.)

A siffatta anticostituzionale deliberazione sarebbesi con ogni sua forza opposto il conte di Santarosa, se non avesse fin d’allora conosciuta l’impossibilità di reggere in Torino, ove, se si eccettui la cittadella, il governo non avea forza su cui potesse contare. Ed infatti, erangli avversi i carabinieri ed il reggimento Savoia; dubbia l’artiglieria, nel cui personale molti elementi eterogenei contenevansi: smarriti gli animi dei migliori cittadini. Per le quali cose tutte avea risolto il ministro della guerra ritirarsi in Alessandria con la guarnigione della cittadella di Torino e consegnar questa alla guardia nazionale dipendente dagli ordini del corpo decurionale, e già le opportune disposizioni avea dato. Egli è in quel momento che il principe della Cisterna ed il marchese Prierio, credendosi alla vigilia della restaurazione di quell’assoluta monarchia, che tanta guerra avea lor fatto e giurato, si partirono alla volta di Ginevra.

Ma alle ore otto della sera il ministro mutava pensiero all’annunzio che i dragoni della regina, alzato il grido di viva la costituzione, eransi staccati dall’armata di Novara. Ravvivate sue speranze da questo spontaneo movimento, presentossi alla giunta non già per sottoporre quell’importante divisamento alla discussione di un corpo che aveva momentaneamente deviato dai modi costituzionali, ma per prevenirla della sospesa partenza e delle ragioni che mosso l’aveano.