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752 | storia |
che stanche le potenze cattoliche di tanto strazio che al diritto, alla morale, alla religione facevasi, ricorsero alle armi, e i conati antisociali affogaron nel sangue e nelle rovine.
I Romani, è vero pur troppo, dieder mano in qualche parte alla rivoluzione. Ma se si considera poi che Roma fu la città sopra le altre presa di mira siccome quella che più di tutte interessava alla rivoluzione di far cadere; se si rammenta ch’ebbe per tre anni un giornalismo sbrigliato, la stampa libera, ed anche la clandestina; che inoltre subiva la pressione dei comitati residenti all’estero e T azione dei circoli e delle sètte all’interno; e che infine i rivoluzionari più sperti, in numero di alcune centinaia, fecer diuturna permanenza fra le sua mura per alterare e corrompere la morale de’ cittadini; chi stupirà di quello che i Romani fecero, o non piuttosto di quel che non fecero e che impunemente avrebbèr potuto fare? Fu tale, rammentiamolo ancora una volta, la prevalenza e l’impero che negli anni 1846 e 1847 lasciossi all’elemento rivoluzionario (sotto l’aspetto di dar lezione ai Romani di papalinismo), ch’è forza concluderne, Roma aver contenuto in sè rigogliosi germi di salutare resistenza ed un attaccamento ben radicato e profondo al papa ed al papato.
Difatti Roma si assoggettò alle impostele forme repubblicane, ma tu non vedesti giammai le sciocchezze che vi si videro sotto la repubblica del 1798: quel tagliarsi i capelli per imitare i Bruti, gli alberi della libertà intorno a’ quali gavazzavan torme impudiche di arrabbiata bordaglia, quelle concioni pubbliche o nel ghetto o al Foro romano, la parodia al culto della dea Ragione, la suddivisione del mese in decadi, la nuova nomenclatura de’ mesi in piovoso, ventoso, pratile, termifero e simili, ed infine le altre servili imitazioni delle ridicolaggini francesi.
Non si ebbe l’esempio del pubblico deporre il proprio nome per assumer quello di Tesifonte, nè l’altro di preti o frati dimentichi del loro sacro carattere. Il clero in vece fu