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Noi enumerammo questi casi in ristretto, unicamente per provare ai nostri lettori che i movimenti antipapali furon sempre sistematici, e che l’impulso venne sempre dalle grandi aggregazioni settarie; cosicché fosse pure asceso sul trono pontificale un papa che governasse come Licurgo, o Minosse, o Solone, o Augusto, o Cesare, o Tito, o Antonino Pio, o Traiano, o Ildebrando, o Sisto V, o Benedetto XIV, sarebbe stato sempre lo stesso. Il buono o il cattivo governo, il benessere o il malessere dei sudditi, la prosperità o la miseria, per nulla entravano come causa impellente a colorire gli empi disegni.

I Romani intanto cui in su’ primordi di Pio IX avevano riscaldato la testa, e che di queste faccende ne sapevan meno di quello che forse pretendessero di saperne, dettersi a cantare, a inneggiare, a sparger fiori: e così facendo, venivansi suicidando allegramente.

Dal caldo e dagli amori si passò poi alle freddezze, e dalle freddezze all’odio. Ciò che accadde lo dice la storia. L’anarchia alzò la cresta; il primo ministro del pontefice fu ucciso proditoriamente; il papa fuggì; venne il governo provvisorio e finalmente la repubblica, ch’era la meta voluta e il punto di fermata: seppure un punto di fermata esiste per gli uomini che alle idee stemperate lascian libero il freno.

Per tal modo quegli uomini stessi che il papa avea perdonato, quegli uomini cui volle pietoso terger le lacrime, tergendole così anche alle loro famiglie, venuti in Roma, vi attossicarono le sorgenti tutte della felicità, e, conseguenza dei lor desideri, chiamarono sulla città del perdono le perfidie e gl’inganni, la miseria e la guerra. Trovaron l’oro e l’argento abbondanti, e vi lasciarono la sudicia carta scapitante il 40 per cento; vi trovaron la letizia e la pace, e vi seminarono l’odio e il livore fra’ cittadini; scissero i padri dai figli, da’ mariti le spose; sbandeggiarono il clero benefico e inoffensivo; costrinsero ad esulare il sovrano; e finalmente a tanto spinsero la loro empietà,