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da lui migliorato di molto lo stabilimento di san Michele a Ripa, e riattivato il pomerio. Restaurò chiese e monasteri. Arricchì di antichità una parte del museo che nominossi museo Gregoriano. Edificò il bosco Parrasio sul Gianicolo, e decorò di un portico, colle colonne tratte dall’antica Veio, l’officio della posta in piazza Colonna. Migliorò più di una strada, e fece quella magnifica da porta Portese a porta Cavalleggeri.

Intanto però, per ovviare alle spese impreviste della rivoluzione del 1831 e delle sue conseguenze, convenne contrarre un primo prestito di tre milioni di scudi romani a Parigi nel 1831, altro nel 1832, altro nel 1833, altro nel 1837, ed altri successivamente; e tutti furon figli (e pessimi figli) di più che pessima madre. Di ciò parlammo diffusamente e ragionatamente nel capitolo X del primo volume di queste storie. Ma se cattiva fu la madre e cattivi i figli, cattive esser doveano le conseguenze, perchè i frutti agglomerati dei prestiti e le pattuite ammortizzazioni non permisero di alleviare in modo alcuno i pubblici balzelli. Pur tuttavia Roma fu prospera e felice, e molti richiamarono, e richiamano ancora, quei tempi ricordatissimi per prosperità materiale: imperocché abbondantissimamente l’oro e l’argento circolavano, e lietamente le romane popolazioni traevan la vita. Il governo difatti negli ultimi anni del pontificato di Gregorio era vigile sì, ma non vessatorio, e lasciava parlare, tenendoli d’occhio, gl’irrequieti: e siccome gli esteri recaronsi incessantemente in Roma sotto il governo di Gregorio XVI, le arti di pace vi fiorirono in sommo grado. Per tal modo i guadagni straordinari vennero a ripianare i guasti che la rivoluzione del 1831 aveva cagionati.

Questi pochi cenni che abbiamo dato sarebbero per se stessi sufficienti ad ispiegar le cause per le quali si venne gradatamente a spianare la via al compimento della rivoluzione; poiché seppure Roma non accoglieva un numero imponente di novatori, egli è innegabile che un certo desi-