Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. III).djvu/733


della rivoluzione di roma 729

le pratiche del Mazzini e la diffusione delle massime della Giovine Italia, alla quale non è a dubitarsi che taluni dei Romani si ascrivessero. E siccome la distruzione del papato era l’ultimo fine di quella politica associazione, e in genere di tutti i rivoluzionari italiani, e d’altra parte a conseguire tale scopo precipuo si ritenevan di ostacolo gli abitatori del Trastevere, venne adottato (affine di pervertirli e guadagnarli alla causa della rivoluzione) il temperamento di contrarre seco loro amicizie e rapporti: a tale effetto, come racconta il professor Montanelli nel 1° volume delle sue Memorie, alla pagina 53, alcuni borghesi travestiti da popolani recavansi nelle bettole di quel rione, facevano amicizia coi popolani veri, intavolavano discorsi di genere politico, e venivano astutamente ed insidiosamente tirandoli alla loro causa.

Ripiegandoci ora alcun poco indietro diremo che ad onta dei tentativi in genere che possano esservi stati per alterare e corromper (a fede dei Romani, si visse in Roma tranquillissimamente e vi si menò una piacevolissima e beata vita durante tutto il pontificato di Pio VII, cioè per tutta la massima parte dell’anno 1823.

Venuto però al potere il 28 settembre dell’anno 1823 il Cardinal della Genga, che assunse il nome di Leone XII, incominciarono, e più apertamente si manifestarono in seguito durante il suo pontificato, talune tracce di malcontento.

Era Leone animato da eccellenti intenzioni. Conoscendo troppo da un lato, e troppo poco dall’altro, il suo tempo, cercò di riparare al mal costume che, in grazia di una innegabile libertà di fatto goduta sotto Pio VII in Roma, vi si era alquanto mantenuto come retaggio della francese dominazione. Egli volle prender tutto di fronte, con modi aspri e severi, e più adattati pel medio evo o pel secolo di Sisto V, che pel secolo XIX. Introdusse i famosi cancelletti o ripari di legno alle bettole per correggere in parte gl’incitamenti alla ubriachezza. Operò