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dir vero nello stato in cui erano le cose, co’ Francesi penetrati in città, con le speranze deluse dei movimenti parigini, e con l’Europa quasi tutta collegata contro i Romani, vi voleva di molto coraggio e fermezza per continuare ad affrontare il cozzo dell’armata francese. E quindi non del tutto impropriamente riportò il Monitore que’ versi di Orazio:

«Si fractus illabatur orbis
» Impavidum ferient ruinæ!»1

Se non che volendo i repubblicani risparmiare alla città i disastri di un bombardamento rigoroso, divisarono un espediente per allontanarne il pericolo. Questo bombardamento per verità aveva già avuto luogo in qualche parte, o come direbbero i Francesi con ménagement. Erano state lanciate in varie riprese e su qualche punto parziale della città alcune bombe o granate, e la sera soltanto del 22 se ne lanciarono un centinaio e mezzo, di piccolo calibro, come a suo luogo e tempo narrammo nel capitolo precedente. Pochissimi però furono i casi in che que’ proiettili riuscisser fatali, e tra questi si registrarono la morte di una Colomba Antonietti parente del Masi, e quella di una familiare nel palazzo Caserta alle Botteghe Oscure.2

I difensori di Roma d’altra parte, ove fossero occorsi casi moltiplici, non avrebber già avuto interesse di occultarli, ma sì bene di propalarli per mantenere ed accrescere nel popolo sensi d’ira e propositi di resistenza. Alcuni poi di questi proiettili che venivan chiamati bombe, erano piuttosto granate, e molte si confusero con le palle di cannone che in buon numero caddero sulla città e che danneggiarono esteriormente le case riguardanti il Gianicolo, fra le quali sopratutto soffersero il palazzo Farnese ed il palazzo Spada.3


  1. Vedi Monitore, pag. 622.
  2. Vedi Monitore, pag. 584. — Pallade n. 557. — Rusconi, vol. I, pagina 156 e 157.
  3. Vedi Monitore, pag. 580, 588, 605, 611, 622, 633.