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della rivoluzione di roma | 563 |
del governo pontificio ce l’assicurò sul suo onore, autorizzandoci ben anco a narrarla siccome cosa incontestabile e documentata. Del resto, anche senza l’autorizzazione in discorso, lo asserire che era questa la voce, mentre non garantisce la cosa in se stessa, enuncia una opinione in voga, e ciò entra sempre nel dominio della storia.
Partì dunque l’Accursi per Parigi lo stesso giorno 24 di maggio seco recando la macchina di guerra, il cui scoppio s’intese il 13 di giugno. Sarem quindi obbligati di parlarne sotto quella data. Lasciamo intanto viaggiare in pace l’Accursi col suo Protocollo, e veniamo a designare un altro genere di pratiche cui si ebbe ricorso, per guadagnare amici alla repubblica proclamata sul Tebro.
Rammenteranno forse i nostri lettori che dopo la catastrofe del 16 novembre il Canuti non vedendo procedere a suo modo le cose di governo, chiese licenza da Roma, e colorì il suo allontanamento col pretesto di una missione che gli venne affidata pei governi di Francia e d’Inghilterra.
Recossi difatti il Canuti in Londra a lord Palmerston e ne ottenne cortese accoglienza: ma l’astuto diplomatico cui già parea di veder sparire, per le intemperanze rivoluzionarie, le franchigie ottenute, lungi dal fare buon viso alle utopie repubblicane, consigliava modi conciliativi coll’esule pontefice, altrimenti (diceva) avrete il Papa certamente, le pubbliche libertà no.
Altri incaricati dei repubblicani romani il Manzoni, cioè, il Carpi ed il Marioni non altro che belle parole ottenevano dall’inglese ministro. Il Marioni però veniva ammesso a più lunga confabulazione, ed al medesimo fra le altre cose diceva: «Accettate il Papa con una costituzione larga e vera, colla stampa senza ceppi e con tutte le garanzie per la libertà e pel progresso avvenire, colla condizione espressa della separazione intera e perpetua dei due principî, delle due potestà ecclesiastica e secolare.»