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536 | storia |
dolo a ritornare nel regno; per la qual cosa, abbandonata Albano, condusse l’esercito ad Ariccia la sera dei 17 ed il giorno appresso a Velletri. In quel giorno stesso i Romani furono a Valmontone col grosso delle truppe, e coll’avanguardo sette miglia più innanzi a Monte Fortino, lungi da Velletri nove miglia. Divisava Roselli i modi della battaglia, quando Garibaldi, il quale aveva il comando del centro dell’esercito, lasciò il suo posto, e recatosi in mano il governo dell’avanguardo, lo mosse contro Velletri procedendo con soli due mila uomini sino ad un miglio dalla città, quantunque Roselli gli avesse ordinato di sostare. I Napolitani lo assalirono con forze tanto superiori, che Garibaldi della vita, le sue genti corsero pericolo di estrema rovina; ma l’audacia ed il valore supplirono al numero, ed i Romani, spuntata la cavalleria nemica, ricacciarono la fanteria in città. Roselli accorso col nerbo delle truppe, ne ordinò l’assalto pel mattino seguente, ma il re nella notte l’ebbe abbandonata, ritirando le sue milizie con tanta fretta, che nacque grande confusione negli ordini ed alterazione nelle menti. La scaramuccia era costata cento uomini appena alle due parti, ma perchè Velletri restò ai Romani, e perchè il re, prendendo consiglio più dai chierici e dal sospetto che dall’onor militare, se ne tornò indietro con vergogna, i repubblicani diedero voce di segnalata vittoria, e levarono alle stelle il nome di Garibaldi, sebbene ei fosse degno di riprensione per l’arbitrio che s’era tolto, e perchè del pericolo corso e dell’incolume ritirata dei nemici rendeva in colpa il generale supremo, turbando la disciplina già fiacca dell’esercito.»1
Sentiamo adesso la narrazione dei capo dello stato maggiore del Corpo napolitano, capitano d’Ambrosio.
«Il mattino del 19 tutto era tranquillo in Velletri, ed il Re che da Albano aveva disposto eseguirsi la ritirata