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526 | storia |
«Io temo tanto meno di far conoscere qui l’opinione che io aveva del Mazzini col quale io era allora in aperta guerra, in quanto che, in tutto il seguito dei nostri negoziati, non ho avuto che a lodarmi della sua lealtà e della moderazione del suo carattere, che gli han meritato tutta la mia stima.»1 Termina poi questo paragrafo, lodandola nobiltà de’suoi sentimenti, la sua alta capacità, il suo coraggio.
Ecco dunque il Lesseps venuto in Roma anti-mazziniano divenir poscia (stando dentro le sue mura) ammiratore fino alle midolle e settatore sviscerato del Mazzini. Se dunque questo cambiamento radicale operossi nel Lesseps, dovrem dire, a preservazione del suo onore e della sua lealtà, che di buona fede cadde nei lacci del ligure cospiratore: e ciò tornerebbe in lode della scaltrezza italiana.
Comunque si voglia, la condotta del Lesseps incerta, inesplicabile, equivoca e contradittoria dal primo sino all’ultimo, le istruzioni del governo francese ambigue e semi-sibilline, le contradizioni inoltre che appalesaronsi fra le istruzioni del generale Oudinot e quelle del Lesseps, e la divergenza d’opinioni fra questi due personaggi, unite alle contradizioni degli atti pubblici in occasione dello sbarco dei Francesi in Civitavecchia, da noi narrate nel capitolo precedente, formano della loro spedizione e delle loro negoziazioni uno degli episodi più importanti, ma nel tempo stesso più involuti nel mistero, che ci somministri la nostra storia contemporanea.
A queste contradizioni può darsi una qualche spiegazione nel modo seguente.
La Francia in quel tempo era tanto repubblicana quanto può esserlo l’imperatore del Mogol. In prova di che, con tutto il suffragio universale, dette all’assemblea una maggiorità nel senso conservatore.
Quantunque però non repubblicana, anzi aborrente in genere dalla repubblica, avendo tuttavia un governo re-