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della rivoluzione di roma | 525 |
di questa qualifica onorevole, null’altro all’infuori del l’adempimento del mandato conferitogli doveva animarlo. Perchè dunque giungere in compagnia dell’Accursi, ch’era uomo di partito più che dichiarato? E perchè non parlarne, quasi se ne vergognasse?
E innegabile che nel complesso la sua missione non fu delle più felici: come non fu quella di lord Minto per parte dell’Inghilterra. È innegabile che in sul fine venne quasi deriso e scacciato dal generale e dai consiglieri militari. È innegabile che a Parigi la sua inquisitoria, le sue risposte, e la soluzione della specie di processo che subì, non costituiscono una delle più belle pagine per la storia di un ambasciatore straordinario, inviato da una grande nazione com’è la francese.
È innegabile che come nei primi giorni parve osteggiare i repubblicani apertissimamente, così negli ultimi sembrò fare all’amore con Mazzini e co’ suoi partigiani. E ciò quando meno si sarebbe dovuto aspettarselo, perchè contro il Lesseps si pronunziarono grida sediziose dai repubblicani esaltati, e contro di lui, secondo ciò ch’egli stesso ci dice, venivansi aguzzando i pugnali proditorii dell’assassino. Non pareva quindi essersi amicato i repubblicani, nè essi tenerlo in conto di amico. Se dunque nello esordire della sua missione palesava idee men che amichevoli pel governo di Mazzini, come può spiegarsi che ne fosse divenuto ammiratore in sul fine, quando le idee acquistate lungi dal distoglierlo, lo dovevan confermare e consolidare in quelle ripugnanze o antipatie che parve nudrire quando giunse?
Per quale concorso di fatti una sì strana metamorfosi si venne in lui operando, sicché da nemico in amico convertirsi dovesse?
Nè si creda che ciò che diciamo sia una mera nostra congettura. È in vece una verità che traspare dagli ultimi atti suoi, e ch’egli stesso ci confessa nel suo scritto, ch’è l’apologia del proprio operato, quando dice: