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È inutile il dire come appena arrivato il Lesseps in Roma si facessero una premura tutti gli uomini di governo, o quelli impiegati nei maneggio di pubblici affari, di avvicinarlo, lodarlo e con ogni sorta di lenocini tirarlo a loro. Però dagli uomini del movimento in fuori, altri non vide, nè si curaron di vederlo; chè è cosa solita nei paesi in istato di rivoluzione il partito trionfatore essere quello che parla, scrive, agisce, in tutto si mischia, e su tutto porta il «peso della sua influenza. Il partito manomesso, al contrario, ch’è sempre il più numeroso, cerca di salvar la pelle, bada a’ propri affari, non piatisce, non blatera, e se a propria salvezza è d’uopo illuminar la casa, pagare nuovi tributi, somministrare l’obolo per la colletta, vi si adatta sommessamente, nè cura di altro; se devoto crede, e se pure la fede noi consola nella comune sventura, lo allieta il balsamo della speranza. Abbiamo detto per tal modo chi vide e chi non vide il Lesseps.

Diede però il Lesseps saggio di molta fermezza nei primi giorni, e parve tenere esclusivamente per la Francia, poco o nulla mostrandosi tenero pe’ repubblicani romani.

Parve in una parola simpatizzare cogli uomini di parte mezzana, poco o nulla per gli avventati, sebbene in quei momenti non fosse sì agevole il discernere gli avventati sinceri dai simulatori di esaltazione, perchè esaltati compari van tutti.

E come se gli porse una favorevole occasione di appalesare i suoi sentimenti, non se la fece fuggire. Lesse un articolo nel Contemporaneo del 19 maggio 1 (che era il giornale del demagogo Sterbini), oltraggioso all’onore del generale Oudinot, e ue fu nauseato siffattamente, che se ne richiamò al triumvirato e fece inserire il suo richiamo nel Monitore romano del 19. Esso diceva così:

   «Le ministre plénipotentiaire de la République    «Il ministro plenipotenziario della Repubblica
  1. Vedi il Contemporaneo, n. 112.